La polemica, fedele compagna del Festival

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Pur non avendo ancora le orecchie lastricate dalle canzoni, condannati volenti o nolenti al loro imminente e reiterato ascolto, percepiamo però l’eco cacofonico del carrozzone mediatico e del bestiario che affolla e sciama per Sanremo, che neanche Roccaraso per intenderci. Una dissonanza di parole, dibattiti, programmi, dotte riflessioni che dallo scorso autunno tira la volata all’evento. Uno tsunami mediatico che ci ha già stremato nel corpo e nello spirito. E per non trovarci impreparati riassumiamo ciò che rappresenta l’essenza stessa del festival. No, non è più la canzone ma la polemica o lo scandalo, fedele compagno di viaggio del Festival.

Iniziamo con l’Accademia della Crusca, che grazie alla penna dell’esimio linguista di fama prof. Lorenzo Coveri, ha passato al setaccio i testi delle 29 canzoni in gara nella 75esima edizione del Festival. Il risultato è sconsolante e presumo anche imbarazzante: «canzoni piatte, nessun fuoco d’artificio linguistico quest’anno. Anzi». L’accademico promuove a pieni voti solo Brunori Sas e Lucio Corsi (due cantautori, ma va’?) e Shablo. Bastonando con vigore i Modà, Gabbani, Marcella Bella a Fedez (ma va’?) «Una lingua contemporanea, informale, che risente molto del parlato e lascia alle spalle la tradizione letteraria», «poche parolacce, pochi disfemismi qua e là», «una certa omogeneità, legata probabilmente al fatto che un gruppo ristretto di autori firma una buona parte delle canzoni» e soprattutto «niente scandali». D’altronde sono cristalline le chiare indicazioni di Carlo Conti, strenuo paladino del politically correct che applica i diktat della Rai, a sua volta ligia all’attuale governo: nessun diritto di cittadinanza ad argomenti pelosi e pruriginosi, dalla guerra all’immigrazione per intenderci.  La realtà (e la politica) deve rimaner fuori dall’Ariston. «Ciò che mi piace – ha affermato soddisfatto l’ambrato conduttore – è che non c’è più un macro-mondo, ma si ritorna un po’ a parlare del micro-mondo, della famiglia, dei rapporti personali. È molto intimo». Quindi cancellati, anzi neppure presi in considerazione eventuali monologhi proposti da ospiti potenzialmente a rischio.  Ospiti e co-conduttori rassicuranti: Gerry Scotti, Antonella Clerici, Malgioglio, Frassica con la “variabile” di Geppy Cucciari. Ma anche Mahmood, Elettra Lamborghini(!), Bianca Balti, la Marcuzzi, Cattelan. Insomma, il classico “mischione” come piace a Conti, bulimico sia per la quantità delle canzoni in gara quanto per l’affollamento sul palco. Che deve esser luogo rassicurante.

Volemose bene è imperativo categorico della kermesse. Pur sapendo, lui per primo, che Sanremo si nutre di scandali e polemiche dalla notte dei tempi. Sono ormai avvinghiate al suo DNA, funzionali alle attenzioni mediatiche e nazional-popolari di cui si nutre anche a fronte della scarsa bontà o inutilità delle canzoni in gara. Non ci fossero li creerebbero a regola d’arte, come puntualmente avviene. Tra i primi quello che ha portato all’autoesclusione di Emis Killa. Il rapper di Vimercate ha fatto di sua sponte un passo indietro in quanto indagato per associazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta “Doppia Curva” condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Ha inoltre ricevuto un Daspo che gli vieta di assistere alle partite di calcio. Neanche il tempo di pubblicare il comunicato stampa ed eccolo surfare sulla bufera mediatica, sfruttare i 15’ di notorietà e monetizzare. Ha così subito rilasciato sulle piattaforme la nuova canzone annunciando al contempo il concerto evento di settembre con prevendita già disponibile. Il dubbio che avesse già concertato è lecito. 

Conto e carta

difficile da pignorare

 

L’hype del festival è in rialzo anche per l’annunciato duetto tra Fedez e Masini su Bella stronza. Antico brano dell’artista, fiorentino di nascita ma affrancato per forma e contenuti dal “Dolce stil novo” di Guittone D’Arezzo per intenderci. Una scelta che ha scatenato l’ennesimo putiferio: non sarà un messaggio tutt’altro che subliminale indirizzato a Ferragni? Tra l’altro rea di averlo cornificato con Achille Lauro quale ripicca alla di lui relazione adulterina. La trama è ingarbugliata e grazie pure all’apporto di un altro maître a penser (Fabrizio Corona) si infittisce, promettendo colpi di scena degni delle telenovelas sudamericane. Anche perché le due sedicenti ugole (Fedez e Lauro) prima o poi si incontreranno nei meandri del teatro, e chissà se esploderà la viril tenzone a beneficio delle truppe mediatiche. Ma una volta ancora “Carlo il pompiere” ci mette la pezza garantendo che la canzone incriminata avrà contenuti e parole modificati in ossequio ai tempi. Ma risulta urticante il testo originale del ‘95? Pare di sì in quanto una consigliera di “pari opportunità” della Provincia di Rimini ha inviato una lettera al CdA della Rai denunciando nella missiva «la misoginia violenta e il linguaggio volgare» che il Festival veicolerebbe oltre al cattivo gusto e alla violenza di genere. Senza scordare che potrebbe esserci pure «un utilizzo improprio della televisione di stato per veicolare insulti alle mogli separate». Roba da far sbiancare letteralmente il povero Carlo! Che stoicamente tiene botta gongolando quando annuncia di aver sdoganato ufficialmente anche l’Auto-Tune; con parsimonia però!  Perché è uno “strumento” utile alla narrazione musicale contemporanea. Ricordandogli che non è uno strumento ma un software, ha strappato un sorriso affermando che «non deve esser impiegato per mascherare problemi sistematici nel cantare»; traducendo “azzeccare le note” e se ciò non avvenisse, beh, basta non darlo troppo a vedere. Ergo: saper cantare non è più richiesto.

Dulcis in fundo, il carico da 90 sganciato sul Festival e soprattutto sulla capoccia di Conti, responsabile delle scelte, dal Codacons (il Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori). Il Coordinamento ha presentato un esposto all’Antitrust «chiedendo un indagine su quella che sembra davvero una ‘casta discografica’ in grado di arrecare danno al settore, ai consumatori e agli stessi artisti». Traducendo: si stigmatizza la concentrazione dei soliti autori che si spartiscono le canzoni del festival. Un mal andazzo che perdura da qualche anno e a cui è anche imputabile l’omologazione e l’appiattimento generale delle canzoni in concorso. Infatti, un terzo dei 29 brani reca le solite firme di autori e producers che, oltre ad esser i veri vincitori del festival, sono sul libro paga delle multinazionali del disco, ramo edizioni, come ad esempio la Universal Music Publishing. Autori che cedono le edizioni del brano.

Nulla di illegale ci mancherebbe ma significa replicare scientemente un modello di presunto successo; se ricordate (spero di no) le canzoni dell’anno passato è evidente omologazione. Insipida, scontata, piatta.

Al bando la sperimentazione. Perché non investire su giovani autori che potrebbero sparigliare le carte con guizzi, invenzioni e sorprese? E metter in difficoltà le programmazioni dei network radiofonici che allo sfinimento terranno il codino a questi prodotti?

A Sanremo tutto deve esser emolliente, lenitivo almeno nelle cose che contano. Che sono soprattutto i numeri dell’Auditel e i guadagni che genera. Indici e introiti che soprattutto quest’anno devono risplendere non fosse che per il TAR Liguria-Genova è illegittimo l’affidamento diretto da parte del Comune, che in futuro dovrà bandite una procedura di evidenza pubblica. E che dunque dal 2026, il Comune di Sanremo dovrà indire una procedura di evidenza pubblica, e la Rai potrebbe non essere più l’organizzatrice dell’evento canoro italiano. 

Stando a Ernst & Young per l’annuale edizione la Rai affronta costi per 20 milioni di euro tra l’affitto del teatro Ariston incluso il personale, la struttura è sequestrata da dicembre, il cachet di Conti (450’000 euro) quello dei co-conduttori (25’000), degli ospiti (dati sconosciuti), quello dei 29 artisti in gara (53’000 euro a capoccia più 5mila per l’ospite del duetto). Senza contare il personale Rai e le maestranze coinvolte. Ma l’utile netto ammonterà a 40 milioni circa tra introiti pubblicitari, vendita di biglietti e altre importanti voci. Mentre il territorio, dunque la città di Sanremo coi suoi dintorni si attende un utile pari a 20 milioni di euro prevedendo l’arrivo di 40’000 persone. Mica pizza e fichi.



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