Istituto Bruno Leoni: Cosa resta dell’autonomia differenziata?

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Nel giugno 2024, è stata approvata la legge sulla cosiddetta autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, a seguito ad un’ampia discussione che si è svolta dopo le iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017. Grande è stata la controversia sulla legge, che è finita al centro di due iniziative, l’una giuridica e l’altra politica. Altrettanto grande è la confusione sul destino di questa legge. Cosa ne resta, infatti, dopo la sentenza n. 192 del 2024? E cosa ne resterà, se si arriverà alla consultazione referendaria?

Il 10 febbraio l’Istituto Bruno Leoni ha organizzato un seminario dal titolo eloquente: “Cosa resta dell’autonomia differenziata?” si sono riuniti al tavolo alcuni studiosi che hanno cercato di fare il punto sulla situazione. Sono intervenuti: Giovanni Boggero (Università di Torino), Elena d’Orlando (Università di Udine), Amedeo Lepore (Università della Campania). Coordinatore Giuseppe Portonera (Forlin fellow dell’IBL).

La titolarità dello Stato nelle materie trasversali, con valenza unificante e la riserva allo Stato in materia di Perequazione e il regionalismo cooperativo.

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“La sentenza detta trattato che riguarda l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, nasce a seguito di alcuni ricorsi alla Legge 86 che cercava di delineare una procedura che le regioni ordinarie che volessero accedere a una forma differenziata di autonomia, saranno tenute a seguire. La sentenza 192/2024 riguarda la risposta alle regioni ricorrenti.” Elena d’Orlando ha cercato di individuare nell’articolo V la possibilità delle regioni di ricorrere alle autonomie, per favorire il pluralismo. Il regionalismo è espressione amministrativa del pluralismo sociale. Il Parlamento è la sede di confronto, di dibattito, di tutela. La Costituzione in questo modo rimanda al parlamento per ambiti specifici.”

“Questo tipo di regionalismo cooperativo si realizza attraverso il principio di sussidiarietà, che misura l’adeguatezza, secondo criteri di efficacia e efficienza che possono derivare da un’eventuale decentramento della funzione, l’equità e la responsabilità.” Questo apparato argomentativo della Corte ha un corollario ulteriore: le regioni che intendano attivarla devono attrezzarsi in maniera adeguata, con idonea attività istruttoria.”

L’uso improprio delle autonomie e delle risorse

“Vi è stata all’inizio della storiografia italiana unitaria, una discussione molto seria sull’apporto del Mezzogiorno al resto del paese. La mancata unificazione economica del paese in termini di riequilibrio, nel processo risorgimentale, portò al Sud un impegnativo ruolo, principalmente di unificazione industriale e sociale e civile. Il Sud era arretrato in termini di istruzione e di collegamenti, di opere pubbliche e di speranza di vita. Solo in alcune fasi post industriale cambiano i termini della Questione meridionale. Si crea quindi un divario economico conseguente alla storia concreta del nostro paese.”

Lepore ha evidenziato che il paese comunque ha iniziato a crescere particolarmente al Nord e al Centro, mentre il Mezzogiorno è rimasto indietro: dalla modifica del Titolo V della Costituzione del 2001 a una distinzione tra capacità di spesa e la responsabilità di gestire le entrate.

“A partire dagli anni ’70 ci sono state delle tendenze di investimenti locali che hanno mandato il Mezzogiorno nell’abisso, a causa dell’incapacità di raggiungere gli obiettivi e all’errato utilizzo delle risorse. La Cassa del Mezzogiorno è stata un esempio TopDown, ma dall’altro c’è stato un intervento delle politiche di sviluppo locale, dove che si vedrà svilupparsi la questione del sud e come andare avanti in un paese in cui una parte arrancava. Poi vi è stata una torsione completa, l’innesto della questione politica del separatismo.”

Tra Nord e Sud le differenze sono enormi, ma se guardiamo ai risultati in alcuni settori, troviamo esempi molto positivi: ambiente, innovazione, tecnologia, ricerca, etc.. il professor Lepore ha richiamato alla responsabilizzazione, alla sussidiarietà e all’esternalizzazione, la piena realizzazione del disegno istituzionale.

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“A partire dalla Sentenza 10/2025 che esclude la possibilità di un Referendum abrogativo della Legge Calderoli, ci obbliga a chiederci che cosa resti di questa Riforma. Il Referendum diventerebbe un problema in quanto giudicherebbe direttamente la Costituzione, ovvero andrebbe a mettere in discussione non tanto la Legge Calderoli.”

Boggero è convinto che l’architettura delle legge Calderoli sia perfettamente in piedi e l’architettura la rende certamente operativa se non per la parte relativa ai LEP che sono demandati al Parlamento. La Corte tuttavia individua un flebile contenuto minimo di difficile individuazione. Dunque l’unico percorso per perseguire l’autonomia differenziata è continuare le trattative per tutte quelle che sono le funzioni no-LEP.

A conclusione del giro di interventi ha preso parola Serena Sileoni (professoressa di Diritto costituzionale all’Università Suor Orsola Benincasa) in rappresentanza dell’Istituto Bruno Leoni. La sua posizione è chiara, si è posto il problema di questa Legge, con la piena volontà di non farla funzionare. Uno dei punti più deboli era certamente la distribuzione delle risorse, in una logica di governo pluralista si voleva limitare il potere di questa legge, nonostante lo sforzo sia stato notevole e abbia il merito di aver chiarito la differenza tra federalismo fiscale e federalismo differenziato. Il punto definitorio è importante, aiuta a capire come si individuano i LEP, cosa sono e come vengono finanziati.

“Cosa resta di tutto questo è la discussione aperta: è vero che alcune cose non sono cadute, ma il problema della Corte Costituzionale è stato scegliere politicamente di non porre ulteriori quesiti sulla Costituzione e sul 116. In ogni caso il problema viene quindi aggirato e risolto. In quest’ultimo anno il dibattito anche tra esperti era sul 116 e non più sulle modalità dell’autonomia differenziata, per colpa, probabilmente, dell’orientamento della corrente detrattrice della Dottrina del Sud.”

Martina Cecco





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