gli Usa fissano tariffe al 25%. «Presto anche su auto, farmaci e chip»

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


Donald Trump riparte dal braccio di ferro sui metalli. E mentre l’Europa si smarca (per ora) dalle polemiche ma promette conseguenze, in Cina entrano in vigore le tariffe in risposta alla prima ondata di dazi Usa. Il presidente degli Stati Uniti ha firmato l’introduzione di prelievi aggiuntivi del 25% su tutte le importazioni americane di acciaio e alluminio. E svela: «Prenderò in considerazione l’imposizione di tariffe aggiuntive anche su automobili, prodotti farmaceutici e chip per computer». Per ora acciaio e alluminio. I due materiali tornano così al centro della disputa come fu già nel 2018, quando la prima amministrazione Trump istituì, in nome della sicurezza nazionale, tariffe rispettivamente del 25% e del 10% su acciaio e alluminio. Successivamente sospese da Joe Biden, la reintroduzione, nei rapporti con l’Ue, era prevista per il 31 marzo prossimo. Nel mirino di Washington, dopo il congelamento per 30 giorni della prima lenzuolata di dazi contro Canada e Messico, sono di nuovo gli alleati più vicini. Stavolta, infatti, a differenza di sette anni fa, Canada (il principale fornitore di acciaio e alluminio degli Usa) e Messico non sarebbero al riparo dalla stretta commerciale trumpiana. Di certo non lo sarebbe la Germania, che vende agli Usa ogni anno 1 milione di tonnellate di acciaio. 

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

Trump, la foto da “Ultima cena” e quell’immagine del papa sofferente

L’OFFENSIVA

Ma la nuova offensiva, fanno notare gli analisti, punterebbe a colpire in particolare la sovrapproduzione siderurgica di Pechino, un aspetto che è finito pure sotto i riflettori di Bruxelles, dove domani, intanto, arriverà per dei colloqui il primo ministro canadese Justin Trudeau. Nei palazzi Ue, davanti al registro comunicativo esplosivo condito di ultimatum di Trump, si mantiene il tradizionale aplomb nordeuropeo e si professa fiducia nel «dialogo costruttivo» con la Casa Bianca. «Al momento non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale», ha affermato ieri un portavoce della Commissione, chiarendo che «non risponderemo ad annunci generici senza dettagli o chiarimenti scritti». L’approccio attendista ricalca le parole di cautela («Potremo parlarne quando ci sarà stata la prima mossa») pronunciate da Ursula von der Leyen venerdì, nello stesso discorso in cui ha lanciato un tavolo strategico con la siderurgia europea in crisi, tra competizione ad armi impari con la Cina, prezzi dell’energia alle stelle e il secondo mercato per volumi di esportazione (quello Usa, per l’appunto) sotto la scure delle tariffe. L’imposizione di dazi, si legge in una nota di palazzo Berlaymont, «sarebbe illegale ed economicamente controproducente, specialmente considerati i profondi legami transatlantici nelle catene di produzione». Argomenti che la presidente della Commissione porterà con sé nel primo faccia a faccia di alto livello con l’amministrazione repubblicana quando, oggi a Parigi, a margine del summit sull’IA, vedrà il numero due della Casa Bianca JD Vance. Pur cercando di non sfidare Trump a suon di minacce, l’esecutivo Ue ha promesso che «reagiremo proteggendo gli interessi delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate». Misure che, ha ricordato ieri Bruxelles nel tentativo di smontare la narrazione trumpiana, «sono essenzialmente tasse: imporle significherebbe tassare i propri cittadini, aumentando i costi per le imprese e alimentando l’inflazione». Gli effetti sui prezzi sono monitorati da vicino dalla Bce, poiché «maggiori frizioni nel commercio globale renderebbero più incerte le prospettive dell’inflazione» nell’area, che pure sembra destinata a scendere fino al valore-target del 2% quest’anno, ha detto all’Eurocamera la presidente della Bce Christine Lagarde. Con Trump serve mantenere «un’attitudine aperta», ma senza «farsi assoggettare», ha aggiunto il suo vice Luis De Guindos. Chi è sembrato più risoluto a reagire, invece, è stato il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot, convinto che «il momento opportuno» per rispondere alle minacce è arrivato. Un sentiero che ha cominciato già a percorrere Pechino, dove ieri sono entrate in vigore le contromisure in reazione ai dazi del 10% adottati a inizio mese da Trump: un’imposta del 15% sull’export energetico americano, e una del 10% su altri beni tra cui camion e macchinari agricoli, oltre a restrizioni sull’esportazione di metalli rari e a un’indagine antitrust contro Google. La reazione è, tuttavia, per ora moderata: mentre l’offensiva di Trump riguarda 450 miliardi di dollari di export cinese, la risposta di Xi Jinping si concentra su beni per un valore complessivo di 20 miliardi di dollari. 

IL COLOSSO

Intanto la produzione di auto elettriche cinesi ben oltre le richieste anche dei numerosi consumatori cinesi ha spinto il governo di Pechino a correre ai ripari. Ha dunque aperto il cantiere per creare un grande colosso pubblico, con le ristrutturazioni di Changan Automobile e Dongfeng Motor che potrebbero essere integrati con China Faw Group Corporation, 

© RIPRODUZIONE RISERVATA





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura