Il Ponte c’è già: è virtuale e fa scorrere fiumi di cocaina tra Calabria e Sicilia. Organizza i traffici internazionali e trova contatti con altre organizzazioni che gestiscono le rotte della droga. Una joint venture criminale svelata oggi dalle indagini dei carabinieri, coordinati dalla Dda di Palermo.
Abbattuta da anni di indagini ma non sconfitta, Cosa Nostra prova risollevarsi grazie agli accordi con una mafia divenuta, nel frattempo, più ricca e potente conquistando una posizione preminente nel mercato degli stupefacenti.
Gli affari con la ’ndrangheta nel narcotraffico sono emersi in molte inchieste: negli ultimi anni il filo tra le cosche reggine e i mandamenti siciliani si è rafforzato. Un legame che oggi gli investigatori tentano di spezzare nella maxi inchiesta che ha portato a 181 arresti: un blitz storico, per certi versi. Specie perché racconta il tentativo di riguadagnare posizioni con una strategia puntata sul traffico di droga, ambito storicamente snobbato, se non del tutto avversato, dai boss storici dei mandamenti siciliani: anche la mafia fa di necessità virtù.
È in questo campo che Cosa nostra, nel perseguire i grossi guadagni (sia nel narcotrattico che nell’esercizio del gioco digitale illegale), fa cartello prendendo decisioni che favoriscono tutti i mandamenti e tesse alleanze anche al di fuori della propria area di competenza. Nell’inchiesta sono infatti emerse stabili e documentate interlocuzioni con esponenti della ‘ndrangheta di Reggio Calabria e di Cosa nostra agrigentina e catanese.
Il cuore di questi rapporti è il traffico di stupefacenti, per anni affare secondario dei clan: oggi invece segna la svolta economica. L’allargamento dei contatti con la “grande distribuzione” è stato possibile grazie al costante accumulo del denaro fatto con il controllo capillare del mercato cittadino realizzato con l’imposizione sistematica, ai venditori al dettaglio, della sostanza da vendere, del pagamento di una percentuale o anche di un costo fisso mensile scollegato alle entrate.
Nonostante gli uomini d’onore di vecchio stampo prendano le distanze dal traffico di droga, non ne disdegnano i guadagni. «Stai attento ah, perché oggi domani, io vedi per ‘ste cose non mi ci sono mischiato mai, non ci sono entrato mai, non è che mi voglio andare a infangare poi con un po’ di fanghi», dice il boss Gino Mineo intercettato e aggiunge: «Tu gli dici: ‘lascia qualche cosa per … per il paese, … per i cristiani, gli dici … che hanno di bisogno».
Le cosche evitano di farsi concorrenza, praticando lo stesso prezzo per le forniture di droga e hanno dato all’affare una fisionomia imprenditoriale rafforzando i rapporti con la ‘ndrangheta, leader nel settore. «Mi senti, sta arrivando questo coso a fine … la settimana entrante … e ti devi organizzare per dove posarlo cose e poi smistarlo … in quattro, cinque colpi non te lo piazzi tu questo coso? Vi faccio comandare Palermo», diceva non sapendo di essere intercettato, il boss di Tommaso Natale. «Al volo … al volo! … minchia ti dico appena mi arriva i bagni ci dobbiamo fare!», rispondeva il suo fedelissimo. «Trecentomila euro a botta», spiegava, quantificando poi il guadagno. «Se lo dobbiamo dare a uno dei mandamenti … lo dobbiamo dare a un prezzo perché va a finire che tra loro parlano…minchia che fa quello fa un prezzo e a quello fa un prezzo, manchiamo poi tanti, poi andiamo a rompere… manchiamo di serietà, dobbiamo fare un prezzo», spiegava.
Una conferma degli affari in progress tra le due sponde dello Stretto arriva dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, intervenuto nella conferenza stampa in cui sono stati illustrati i particolari del blitz: «La mafia cerca di risollevarsi tornando ad avere relazioni importanti, con alcuni soggetti come la ‘ndrangheta ad esempio. Le indagini sul traffico di cocaina rivelano connessioni profonde con realtà che gestiscono rotte internazionali. Il rapporto con la ‘ndrangheta è sempre più stretto e questo innesca trasformazioni nei tradizionali modelli di cosa nostra che, quando si affaccia in mercati più ampi, deve conformarsi, integrandosi in strutture quasi miste in cui confluiscono i clan calabresi e camorra».
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