Sarà il volontariato bellunese a lanciare il “Quarto Settore” per rappresentare le realtà che per i più svariati motivi (soprattutto di adempimenti burocratici) non aderiscono al “Terzo Settore”? Dalle parti del Comitato d’Intesa di Belluno non lo si esclude.
La provincia non ha neppure 198 mila abitanti. Ebbene, ha un’organizzazione di vollontariato ogni 946 residenti, contro una media del Veneto di 1.779. Conta ben 543 tra organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, ben 27,4 ogni 10 mila abitanti, più di ogni altra provincia della regione. Gli Enti del terzo settore sono 596,30 ogni 10 mila abitanti, anche in questo caso con una percentuale di gran lunga maggiore rispetto al resto del Veneto. Tutte percentuali in aumento da un anno all’altro; solo le cooperative sociali stanno diminuendo, del 7,5%.
Una forza straordinaria, che impatta, tuttavia, col nodo del reperimento delle risorse economiche ed umane. Un problema – ammette Gianluca Corsetti, indicando una delle principali sfide per quest’anno sociale – che rischia di parcheggiare in difficoltà le piccole organizzazioni di volontariato. «Negli anni sono cambiate le fonti di finanziamento e il sistema stesso di finanziamento sia pubblico che privato», dice il presidente del Comitato d’Intesa. «Per fortuna le risorse potenzialmente disponibili per il Terzo settore sono molte. Fino a cinque/sei anni fa le associazioni, soprattutto quelle di piccola dimensione, potevano aspirare a reperire contributi da più parti per finanziare anche le loro attività ordinarie, oggi non è più così. L’enfasi per gli interventi di rete oppure per la realizzazione di interventi innovativi insieme alla burocratizzazione con cui i finanziatori di un tempo, le fondazioni di origine bancarie e gli enti pubblici, impostano oggi i loro bandi determinando che vi possano partecipare prevalentemente enti del terzo settore medio-medio grandi, fortemente strutturati o con risorse tali da avvalersi di professionisti per la redazione dei progetti di partecipazione».
Ebbene, questa situazione sta progressivamente dividendo l’associazionismo in due grandi categorie: le associazioni che si infrastrutturano, capaci di attivarsi professionalmente nel proprio ambito di competenza, in grado di avere rapporti convenzionati con le pubbliche amministrazioni dalle quali anche ricavare le risorse e nelle quali realizzano il principio costituzionale di sussidiarietà fornendo servizio importanti e tutte le altre associazioni di piccole o medie piccole dimensioni, caratterizzate da poche risorse, da bilanci limitati perché provenienti dalle sole attività volontaristiche o dal 5 per mille.
«Il futuro ci dirà se questa tendenza sarà confermata e soprattutto se lo Stato prenderà atto di questa dicotomia e introdurrà un quarto settore solo per il volontariato di piccole dimensioni. Oggi tutte queste anime sono indispensabili e occorre valorizzarle», sostiene Corsetti. «Per le piccole associazioni, quali fonti di finanziamento, sono rimasti i bandi comunali e il 5 per mille».
Un tema interessante per il tessuto associativo della provincia di Belluno è la coesistenza di molti associazionismi: il sociale, il sanitario, il culturale, lo sportivo, lo spirituale, il volontariato d’arma e la protezione civile, l’ambientale, la difesi dei diritti. Questa varietà, questa ricchezza associativa rappresenta il vero segreto del Terzo settore bellunese «accompagnato però, a volte, da una propensione a collaborare più con le pubbliche associazioni piuttosto che con le altre associazioni». Il presidente Corsetti è delicato nell’analisi. Non si spinge a parlare di concorrenza o competizione. Però la conclusione è chiara: «Su questo aspetto gli enti rappresentativi di secondo livello devono necessariamente intervenire per favorire la massima condivisione di buone prassi e incentivare le relazioni reciproche».
Un’altra sfida è quella del reperimento di nuovi volontari e di persone che assumano ruoli di responsabilità all’interno della propria associazione. «Esiste negli enti del terzo settore bellunesi una forte disomogeneità. Non è facile ricomporre a sintesi un tessuto associativo così disparato per mission, mezzi a disposizione, organizzazione e luoghi di intervento», conclude Corsetti. «Innanzitutto nel tempo è sempre cambiata la sensibilità dell’opinione pubblica nonché l’attenzione degli organi di informazione verso un particolare tema piuttosto che un altro e quindi la disponibilità delle persone a prestare dell’attività gratuita verso un settore piuttosto che un altro è sempre stato un elemento variabile».
Si è passati dal tema dei diritti civili negli anni Settanta per arrivare in questo periodo a una grande attenzione prima verso la cultura in genere e poi verso l’ambiente e il mondo animale. «Di conseguenza le associazioni che si occupano di questi temi riescono meglio a intercettare nuovi aderenti. Ora le associazioni che intervengono nel socio sanitario e nel sanitario sono meno attraenti».
Un tema collegato – e fondamentale per il prossimo futuro – è rappresentato dalla capacità del sistema associativo nel formare le nuove classi dirigenti. «Indubbiamente oggi molte associazioni sono in difficoltà nel ricambio degli organi sociali, non si trovano persone disponibili a comporre i consigli direttivi ed ancora meno a svolgere il ruolo di presidente. Per questo motivo occorre prima di tutto mettere in condizione gli attuali presidenti di svolgere il loro mandato con serenità», conclude il presidente del Comitato d’Intesa.
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