Maxi-blitz antimafia a Palermo: 180 arresti tra Porta Nuova, Pagliarelli e Bagheria. I boss si riorganizzavano usando telefoni criptati

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Il sogno di tornare ad antichi splendori, la fiducia nelle nuove leve per un futuro radioso: è la visione di Cosa Nostra che rinvigorita da nuovo flusso di denaro, riorganizza una struttura centrale per coordinarsi. Mentre si affida alle nuove tecnologie per comunicare e gestire l’associazione perfino dal carcere, mentre dispone di una rete di informatori che svela le indagini in corso. Una mafia che affilia nuove leve perfino in carcere e che rispetta i vecchi dettami: “Tà maritasti sta mugghieri e tà puorti finu a vita”, così parla in carcere Francesco Pedalino della mafia come scelta per la vita. C’è tutto questo e anche di più nella maxi operazione della Procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia. Un’indagine monstre dei carabinieri che ha portato oggi all’arresto di 183 persone per associazione mafiosa nei quartieri di “Porta Nuova”, “Pagliarelli”, “Tommaso Natale – San Lorenzo“, “Santa Maria del Gesù” e “Bagheria”, quasi un’intera città e comuni limitrofi a soqquadro.

La procura doveva, d’altronde, agire in fretta, perché dalle intercettazioni è emerso come nei mandamenti si riuscisse ad avere notizia delle operazioni delle forze dell’ordine. Talpe che hanno permesso di fare scappare gli esponenti di cui si attendeva l’arresto. Il rischio di fuga era dunque alto. Le indagini dei carabinieri, coordinati dai magistrati, si sono concentrate contemporaneamente su più mandamenti e da tutti è emerso un quadro univoco e generale: la riorganizzazione di Cosa nostra, con uno sguardo malinconico al passato e agli storici capi mafia. Un’associazione sfiancata da 30 anni di arresti, affannata a mantenere i detenuti e le loro famiglie (tra questi Totuccio Lo Piccolo e Giulio Caporrimo, boss di San Lorenzo).

Il summit con la chat criptata – Quel che emerge dalle indagini è un’associazione che sfrutta nuove tecnologie, tecniche di comunicazione criptata: così si riuniscono e prendono le decisioni necessarie senza temere di essere scoperti. Sono sistemi impenetrabili ma un giorno la chat si blocca e per ripristinare tutto devono memorizzare di nuovo i contatti, così a voce elencano i partecipanti: l’unico modo per conoscere le identità dei membri della chat. È proprio dal carcere che i Lo Presti, reggenti del mandamento di Porta Nuova, non solo danno ordine di un pestaggio ma perfino assistono in diretta, grazie al video-collegamento telefonico, al massacro della vittima. Una mafia che usa nuove tecnologie ma che ha a disposizione un enorme quantitativo di armi: è un misto tra vecchio e nuovo la nuova Cosa Nostra. Che tra gli affari più fiorenti ha ancora il traffico di droga e il buon vecchio pizzo esteso a tappeto ai ristoranti di Sferracavallo e Mondello.

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“Oggi se arrestano uno, si fa pentito…” – La sintesi della nuova visione è nelle parole di Giancarlo Romano, figura emergente del mandamento di Brancaccio, intercettato dai carabinieri: “Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito arrestano un altro… livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando?”. Una mafia, secondo Romano ormai a “terra, tutta Palermo è a terra… quelli si fanno il business, noi siamo gli zingari”. Romano, invece, sperava in una mafia che potesse guardare oltre: “Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane…”. Quando parla è il 24 ottobre 2023, 4 mesi dopo verrà ucciso.

La sua riflessione, però, captata dai militari è una sintesi di quel che è emerso dalle ultime indagini della procura di Palermo: “Una crescente vitalità di Cosa nostra”. Un “rinnovato vigore” oggi azzerato dalla maxi operazione che ha riguardato mandamenti storici. Una Cosa nostra inginocchiata ma intenta a rialzarsi: “Ti devi fare il cervello tanto – così continuava la riflessione di Romano – perché noi dobbiamo crescere. A scuola te ne devi andare. Conoscerai dottori, avvocati, quelli che hanno comandato l’Italia, l’Europa. Per dire quando si parla dei massoni, i massoni sono gente con certi ideali ma messi nei posti più importanti”. Tutto tenuto assieme dai principi mafiosi: “Abbiamo degli ideali nostri dentro che non li facciamo morire mai perché ci muremu, perché in futuro noialtri preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai perché sappiamo noialtri i nostri ideali, sappiamo perché siamo noi contro lo Stato, perché siamo contro la Polizia”.

Il passato che ritorna: Cusimano, fuori dopo 30 anni di carcere, riarrestato. Un legame col passato c’è ancora, uno di questi è Giovanni Cusimano, classe ’49, tra gli arrestati di oggi: “Mi devo mettere di nuovo il revolver in mano”, è il 13 novembre del 2021, Cusimano, uscito di prigione dal marzo precedente, è insoddisfatto del trattamento economico che sta ricevendo da Cosa Nostra. Lui, “capo pretorio”, ovvero uno dei pochi rimasti della “vecchia guardia”, si aspettava un trattamento più lauto e rispettoso e si rifiuta di fare il “picciotto di Micalizzi (Michele, della famiglia mafiosa di Partanna – Mondello, ndr)”, come rivela al suo autista, mentre viene intercettato. Si aspettava un trattamento di rispetto, d’altronde Cusimano era stato arrestato il 21 ottobre del 1992 per l’omicidio di Salvo Lima, era stato poi assolto ma condannato per un altro omicidio e per associazione mafiosa, perché affiliato alla famiglia mafiosa di Partanna Mondello. Una condanna all’ergastolo poi commutata in 30 anni, durante i quali era rimasto saldamente in Cosa Nostra, nonostante la detenzione, infatti conosceva segreti “riservati solo agli intranei”.

Veniva costantemente informato delle vicende mafiosi che accadevano sul territorio, o dava il benestare sulle richieste di pizzo e veniva invitato alle riunioni di mafia, dove perfino si rifiutava di andare se erano piene di “picciuteddi”, mentre lui aveva avuto a che fare con i “killer”. Tutto raccontato nei particolari al suo autista Gennaro Riccobono, da queste chiacchiere in macchina i carabinieri ascoltavano il “suo modo di pensare, legato agli ideali di una mafia tradizionale, ordinata, dotata di capi autorevoli, disposta ad impugnare le armi per ristabilire l’ordine sul territorio”.

La “fitta rete di informatori”. Queste conversazioni, preziose per le indagini, si riducono drasticamente dopo che il 27 maggio del 2023. Quel giorno ha un appuntamento col suo avvocato, e quando rientra in macchina, racconta a Riccobono che “i carabinieri mi tengono sotto”. Tutto vero: erano davvero intercettati e proprio dai carabinieri. È così che dalle indagini è emerso come l’associazione goda di una “fitta rete di informatori”: “poi un’altra cosa dice che dal ventuno al ventitré c’è … ci sono i giochi di fuoco, però questa, ‘sta notizia arriva dal Villaggio di Santa Rosalia”, così il 12 gennaio del 2024 Antonino Gagliardo, tramite tra il mandamento di Bagheria e quello di Brancaccio, parlava con Giuseppe Di Fiore del mandamento di Bagheria.

Il 7 novembre 2023 veniva arrestato (e poi condannato) Felicano Leto, commesso giudiziario della Procura di Palermo, accusato di favoreggiamento: era addetto al materiale traporto dei fascicoli, occasione che gli dava modo si consultare, fotografare e poi diffondere il contenuto dei procedimenti coperti dal segreto, compresi i decreti di intercettazione ancora attivi. Addirittura traportava interi faldoni fuori dal palazzo di giustizia per metterli a disposizione degli indagati. Leto, però, non era l’unica di Cosa nostra, come emergeva lo stesso giorno del suo arresto. Infatti, Antonino Gagliardo, tramite fra il mandamento di Bagheria e quello di Brancaccio, proprio quel 7 novembre 2023 informava Giuseppe Di Fiore che Alessio Basile (della famiglia di Corso dei mille) aveva appreso di tre imminenti operazioni di polizia (“tre zampate … tre camurrie”) previste per fine anno”, circostanza in ragione della quale si era già provveduto a fare “sparire” alcune cose, mentre a Brancaccio quelli più a rischio si erano già “buttati latitanti”.



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