Suicidio assistito, in Toscana la morte è diventata legge

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È purtroppo fatta: il primato italiano di una legge regionale sul suicidio assistito dalla Toscana è raggiunto. Dopo il dibattito aperto in Consiglio regionale, ieri pomeriggio poco dopo le 17:20 – con 26 voti favorevoli, 13 contrari e un non voto – ha infatti avuto luogo l’approvazione finale. A un occhio poco attento sarà forse sfuggito il cambio di nome della legge, quasi a volerlo trasformare in un semplice provvedimento amministrativo. Da “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito” – come recitava la proposta presentata dall’associazione Luca Coscioni (presentata con 10.000 firme e già bocciata in altre Regioni italiane) – si è passati a “Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024”. Il presidente della Toscana Eugenio Giani qualche giorno fa ha parlato di una legge «che più che fissare principi vuole essere di regolamentazione medico-amministrativa. Cerchiamo di mettere ordine e di fissare una procedura, un protocollo, per razionalizzare quello che avviene nelle Asl».

Secondo la nuova norma toscana, il suicidio assistito è legalizzato se la persona che lo richiede rientra in quattro condizioni: deve essere lucida e consapevole; affetta da patologia irreversibile e incurabile; la condizione deve provocare una sofferenza fisica e/o psicologica insopportabile; e deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. In Italia tutto questo si sorregge non si una legge, ma su una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, messa in pratica per la prima volta a fine novembre 2021, quando il comitato etico dell’Asl delle Marche, sulla base di una sentenza del tribunale di Ancora, ha autorizzato il primo suicidio assistito nel nostro Paese.

A febbraio 2022 la Corte Costituzionale aveva dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia legale. Il comitato promotore, sostenuto dall’Associazione Luca Coscioni aveva raccolto 1,2 milioni di firme. Il 26 marzo 2024 sarebbe dovuta iniziare la discussione in Senato, ma il governo non si è presentato alla seduta inaugurale delle commissioni. La “speranza” del Pd era tutta riposta nella Corte Costituzionale che ha dato la competenza al Servizio Sanitario regionale. E la Toscana è diventata così la prima regionale italiana con una legge sul fine vita.

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Una norma che, come recita il citato titolo, è stata presenta come mera applicazione di due sentenze della Corte costituzionale: la 242 del 2019 e la 135 del 2024. Peccato che queste due sentenze dessero carattere prioritario, anzitutto, alle cure palliative. Si legge infatti nella sentenza 135 del 2024 che «deve essere confermato lo stringente appello, già contenuto nella sentenza n. 242 del 2019 (punto 2.4. del Considerato in diritto), affinché, sull’intero territorio nazionale, sia garantito a tutti i pazienti […] una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010, sul cui integrale rispetto giustamente insiste l’Avvocatura generale dello Stato», assicurando, innanzitutto, «la previsione delle necessarie coperture dei fabbisogni finanziari».

Ora, dove siano le «coperture dei fabbisogni finanziari» per le cure palliative, nella legge toscana, è un mistero. Questo però non cancella la soddisfazione di quanti l’hanno voluta. «Abbiamo sottoposto la stessa norma a tutte le Regioni», ha affermato l’avvocato Gianni Baldini, tra i firmatari del testo, «la Toscana ha svolto un’istruttoria di otto mesi, in parte integrando la proposta originaria, anche con richiami al valore della dignità della vita». Rispetto alla proposta originaria è stato inserito il seguente comma: «La Commissione verifica in via preliminare che il richiedente abbia ricevuto una informazione chiara e adeguata sulla possibilità di accedere a un percorso di cure palliative». Viene poi precisato che le modalità di attuazione «devono essere tali da evitare abusi in danno delle persone vulnerabili».

Nel testo approvato, all’articolo 4, si dettano poi le condizioni: l’Asl deve rispondere all’istanza del malato aspirante suicida – dopo averla accolta, protocollata ed esaminata – entro massimo 40 giorni. Una volta accertati i requisiti, la “prestazione medica” deve avvenire entro sette giorni. A pagare il farmaco saranno le Asl – attingendo da un fondo di 10mila euro all’anno inserito da una norma finanziaria per la durata di tre anni sotto la voce “Interventi per la disabilità” -, e sempre loro metteranno a disposizione il personale sanitario assicurando però l’obiezione di coscienza, si legge infatti che il personale sarà «su base volontaria». Viene da pensare a quanti altri sarebbero i reali interventi per la disabilità di cui necessita il nostro Paese, ma le priorità sembrano altre.

A favore della legge ci sono i consiglieri del Movimento 5 stelle e quelli di Italia Viva, e alcuni consiglieri del Pd, tra cui Cristina Giachi e Andrea Pieroni, che avevano inizialmente espresso perplessità sulla proposta, per poi superarle: «Voglio ringraziare il gruppo Pd perché abbiamo avuto momenti intensi di discussione e confronto. Mi sono orientato a esprimere voto favorevole a questo testo di legge anche perché ricordo a me stesso che la miglior difesa dei valori a cui facciamo riferimento la si fa essenzialmente essendo coerenti con essi in momenti talvolta tortuosi della vita».

Contrari all’approvazione si sono espressi alcuni consiglieri della Lega, come Giovanni Galli, per il quale la legge è «un manifesto ideologico» che alimenta la cultura dello scarto e rende la Toscana «una regione laicista e individualista». «Chi vede nella morte la soluzione delle proprie sofferenze», ha aggiunto, «spesso vive in solitudine e dovrebbe essere accolto e confortato, non ucciso». Riccardo Zucconi e Michele Giannini (Fdi) ritengono la legge «un’invasione di campo incostituzionale e pericolosa». Dal mondo pro life, a ragion veduta, avvertono che la Toscana diventerà «la Svizzera d’Italia».

Contrario il mondo cattolico, a partire dai vescovi: «La Toscana ha avuto un ruolo pionieristico nell’abolizione della pena di morte; questa terra ha sempre avuto una forte tradizione di tutela della vita e della salute, oggi ci troviamo in una situazione complessa e delicata, dove si rischia un vulnus», ha affermato il presidente della Conferenza episcopale toscana, l’arcivescovo di Siena e cardinale Paolo Lojudice in merito alla proposta di legge. Ha poi aggiunto: «Nei dialoghi con gli esponenti della Regione abbiamo ribadito il nostro dovere di esprimere un’opinione basata sui valori della fede cristiana, non possiamo cambiare certe decisioni, ma possiamo continuare a proporre una visione che aiuti a formare le coscienze». (Fonte foto: Imagoeconomica/Pexels.com)

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