Il pragmatismo di Orcel, la Russia e i risultati di UniCredit

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Nei risultati 2024 di Unicredit non c’è solo la conferma del primo posto tra le banche italiane per utile netto: 9,7 miliardi (che diventano 9,3 senza i benefici delle Dta, le imposte anticipate, contro gli 8,7 di Intesa). E nemmeno il primo istituto che promette di superare la soglia dei dieci miliardi di profitti (nel 2027). Ma spicca soprattutto la personalità di Andrea Orcel, banchiere d’affari di respiro internazionale, prestato al rilancio dell’azienda nata e cresciuta aggregando, tra l’altro, due delle tre vecchie Bin (Credito Italiano e Banca di Roma) e finita oggi al centro del risiko bancario nazionale. È da Orcel che ieri tutti si aspettavano indicazioni sulle grandi partite aperte: che farà rispetto all’offerta lanciata su Banco Bpm: un rilancio? E su Commerzbank? E come si comporterà con Generali: appoggerà Mediobanca o Caltagirone/Del Vecchio? E poi la Russia: divorzierà finalmente da Putin, ultimo tra i grandi banchieri europei?

L’occasione era quella dei numeri. Illustrare il bilancio 2024 di UniCredit e misurare i risultati con le attese del mercato, in gran parte superate. Ma l’attenzione andava ai vari dossier. Di fronte ai quali Orcel ha confermato la percezione che abbiamo di lui, quella di un banchiere sui generis per gli standard italiani: pragmatico, autonomo, quasi cinico nel rispondere al mercato e tenere a distanza la politica, anche a costo di inimicarsela. Così, quando tutti vogliono sapere che ne farà del suo 4,1 per cento in Generali, il ceo di UniCredit inventa il colpo di scena: «Stiamo per annunciare che la nostra partecipazione totale ha superato la soglia del cinque per cento», ha detto nella call con gli analisti. Una bomba lanciata proprio quando sul mercato rimbalzava l’ipotesi – lanciata dal Corriere – che Delfin sta valutando di uscire dal capitale di UniCredit cedendo il suo 2,7 per cento.

Messaggi in codice tra Orcel e gli eredi Del Vecchio, in vista dello showdown su Generali? Ci sta, vista la posizione che Delfin ha poi fatto uscire ieri pomeriggio di «soddisfazione per i risultati conseguiti da UniCredit» e di «piena fiducia nella leadership di Andrea Orcel». Che però non si è mosso di un millimetro: avere il cinque per cento o il quattro per cento di Generali «non cambia la nostra posizione sulla partecipazione – ha detto – che rimane di natura finanziaria e non implica alcun interesse per l’acquisizione della società. Non ci impegniamo in avventure, ci impegniamo in percorsi che creano valore».

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Che poi quel cinque per cento possa cambiare i destini della compagnia, contesa tra Caltagirone/Delfin e Mediobanca, è ancora più chiaro di prima. Come lo è il fatto che Orcel si sia messo in mezzo per opportunismo finanziario: un suo appoggio al duo Caltagirone/Delfin nell’assemblea che l’8 maggio dovrà nominare il prossimo cda triestino significherebbe anche stare dalla parte del governo che, a sua volta, è sponsor dell’offerta lanciata da Mps (con gli stessi Caltagirone ed eredi Del Vecchio) su Mediobanca. E siccome non si fa nulla per nulla, la contropartita può essere sia l’appoggio del governo sull’operazione Commerzbank (che però dipenderà molto anche dalle elezioni in Germania), sia il via libera da parte del Mef all’offerta che UniCredit ha lanciato su Bpm e su cui pende il golden power. Un’offerta per la quale – altro tema caldo – Orcel non esclude il rilancio: «No, non l’ho mai escluso, fin dal primo giorno». Ma alle sue condizioni: «Per farlo ci deve essere un cambiamento significativo che deve rispettare le nostre metriche per i nostri azionisti». Ivi compresa l’operazione che Bpm sta facendo con Anima («dobbiamo vedere se viene completata»).

Pragmatico e chirurgico, Orcel non flette nemmeno di fronte al rischio reputazionale e politico che rappresenta la Russia, dove UniCredit è ancora ben presente, nonostante le raccomandazioni della Bce di alleggerire la posizione più di quanto non abbia già fatto. Nei numeri del bilancio 2024 la presenza in Russia ha generato ricavi per 1,292 miliardi, in crescita del ventuno per cento, con margine operativo lordo di oltre un miliardo (+24 per cento). Ma a causa di alcune svalutazioni l’utile netto è sceso del 3,7 per cento a cinquecentosettantasette milioni. Insomma, numeri ancora importanti. Anche se la banca minimizza e sceglie di vedere il bicchiere mezzo pieno. E cioè di aver «già superato la maggior parte dei target 2025» di riduzione dell’esposizione alla Russia, confermando il «forte impegno a rispettare le richieste» della Bce. Nel dettaglio, i depositi sono scesi dell’ottantanove per cento dal marzo 2022 (l’obiettivo 2025 è -75 per cento), i finanziamenti locali netti dell’ottantasei per cento (target -85 per cento), l’esposizione cross border del novantaquattro per cento (l’obiettivo è azzerarla) e pagamenti cross border del sessantaquattro per cento (-60 per cento).

La banca milanese sottolinea anche di aver ridotto di oltre il cinquanta per cento l’attività retail in termini di numero di clienti. E soprattutto e di puntare «alla piena uscita», anche se non indica i tempi, preferendo limitarsi a scrivere che l’impatto patrimoniale atteso sul Cet 1 in caso di “perdita estrema” è ormai contenuto a quarantasette punti base dai centoventotto del marzo 2022, all’inizio dell’invasione in Ucraina. In altri termini, di fronte al contezioso con Bce – che continua a sollevare rischi di stabilità, oltre che di riciclaggio e terrorismo – e al ricorso presentato al Tribunale Ue proprio contro Bce, e per ora rigettato, tutto fa pensare che Orcel sia pronto a chiudere la partita russa. Ma solo se sarà costretto a farlo. Pragmatico, autonomo, come sempre.



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