Fame, torture e isolamento: il calvario del dottor Abu Safiya, accusato di niente

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Stesse immagini, dal villaggio di Abwein a Ramallah al campo profughi di Arroub, a nord di Hebron: decine di palestinesi con le mani legate dietro la schiena, giovani e adulti bendati con quello che c’è a disposizione, sciarpe, cappucci, stoffe. Ad Abwein li si vede seduti a terra, uno accanto all’altro, ad Arroub camminare in fila verso le camionette militari israeliane, in cui finiscono inghiottiti. Nel campo, solo ieri, ne sono stati rastrellati almeno 70.

Sono scene che ormai si ripetono con cadenza regolare in Cisgiordania, dal 7 ottobre 2023. Succedeva anche prima, ma ora le retate sono quotidiane e i numeri enormi: 50, 60, 100 nuovi prigionieri ogni giorno, numeri che fanno impallidire quelli sui rilasci.

SONO ALMENO 10mila i detenuti politici palestinesi attualmente nelle carceri israeliane, di cui un terzo in detenzione amministrativa, senza accuse né processo; gli arrestati dall’ottobre 2023 sono 15mila. A questi si aggiunge un numero non precisato di palestinesi catturati a Gaza, 4-5mila, è difficile dirlo.

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Lo denuncia anche il Palestinian Prisoners’ Society (Pps) in un rapporto di ieri: su Gaza non esistono dati certi, chi viene catturato sparisce nel sistema carcerario israeliano, ribattezzato lo scorso agosto dalla ong israeliana B’Tselem «rete di campi di tortura». In quel buco nero era sparito da 47 giorni anche il dottor Hussam Abu Safiya.

Il pediatra, responsabile dell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya, nel nord di Gaza, è stato fatto prigioniero il 27 dicembre 2023, il giorno in cui le truppe di occupazione israeliane hanno lanciato l’assalto finale all’ospedale, dopo settimane di assedio feroce. Nell’ultima immagine lo si vede camminare in camice bianco verso un carro armato israeliano.

Da allora il dottor Hussam è stato vittima di sparizione forzata. Solo martedì scorso l’avvocato Mohammed Jabareen del centro palestinese Al Mezan lo ha potuto incontrare. Lo ha visto nel carcere di Ofer, nella Cisgiordania occupata, dove è stato trasferito il 9 gennaio scorso dopo un periodo nel famigerato centro di detenzione e tortura di Sde Teiman, nel sud di Israele. Il racconto di Jabareen prova a condensare le condizioni di vita di un uomo accusato di niente: a oggi, 47 giorni dopo aver detto ai media di tutto il mondo che Hussam Abu Safiya era sospettato di guidare l’unità anti-carro di Hamas, le autorità israeliane non hanno in mano nulla.

È UN DETENUTO amministrativo, niente accuse, niente processo. Ad Ofer, Abu Safiya è stato posto in isolamento per 25 giorni, fino all’inizio di febbraio. «Durante questo periodo – scrive Al Mezan – ha subito interrogatori pressoché continui per dieci giorni. A un certo punto ha perso coscienza nella sua cella a causa di una grave difficoltà a respirare».

All’avvocato Jabareen il medico ha detto di subire «varie forme di torture e abusi…Dopo l’arresto e il trasferimento a Sde Teiman è stato spogliato con la forza, ammanettato, picchiato con bastoni e sottoposto a elettrochoc». Violenze che proseguono, abusi fisici e psicologici che accomunano tutti i detenuti palestinesi, da sedici mesi. Hussam Abu Safiya ha perso 12 chili in soli due mesi, oggi ne pesa 84: riceve un pasto, misero, al giorno.

Le sue condizioni di salute, ha scritto in una lettera la famiglia dopo aver parlato con l’avvocato, non sono buone, «soffre di alta pressione e ingrossamento del muscolo cardiaco…Tutte le accuse che gli sono state mosse sono state smentite per mancanza di prove». Non sta ricevendo «cure essenziali e specialistiche», aggiunge Al Mezan. Fame, freddo, mancate cure mediche e ore d’aria, pestaggi e visite familiari cancellate da sedici mesi e 58 uccisi.

È IL CALVARIO a cui sono sottoposti, nel silenzio generale, migliaia di palestinesi, in violazione delle leggi internazionali. Tra i più colpiti ci sono i gazawi, racconta il rapporto di Pps, frutto degli incontri che un team di legali ha avuto a febbraio con 18 prigionieri detenuti tra Sde Teiman e il carcere del Naqab: «Quando (i detenuti) sono autorizzati a uscire in cortile, le guardie ne approfittano per umiliarli, urlandogli contro, costringendoli a inchinarsi e impedendogli di parlarsi. Le autorità carcerarie hanno confiscato i vestiti…alcuni sono costretti negli stessi abiti da oltre 70 giorni. Ricevono un piccolo pezzo di sapone da dividere in nove…la scabbia ha infestato molte prigioni».



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