«Lo Spirito indica la via che porta alla gioia» – Chiesa di Milano

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«Celebriamo il Giubileo del Malato perché davvero abbiamo bisogno di un cuore puro e buono, docile e attento». È l’indicazione contenuta nell’omelia che l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, ha pronunciato questa mattina nel Duomo di Milano in occasione del Giubileo diocesano del Malato. A pochi giorni dalla Giornata mondiale (11 febbraio), la Cattedrale ha accolto centinaia di malati e operatori sanitari per la celebrazione giubilare: una giornata dedicata a chi vive la sfida della malattia e a chi si prende cura dei più fragili. «Un evento di Chiesa, di grazia e di speranza», l’aveva presentato don Paolo Fontana, responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale della salute, con un riferimento al tema del Giubileo poi richiamato nel suo saluto introduttivo: «Vogliamo vivere la speranza, vogliamo essere pellegrini di speranza».

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L’Arcivescovo ha risposto dicendosi «pieno di ammirazione» e ringraziando tutti coloro che hanno contribuito alla giornata, dall’organizzazione al trasporto dei malati: cappellani, preti, diaconi, medici, infermieri e volontari delle diverse associazioni (tra le quali erano presenti in Duomo le rappresentanze di Unitalsi e Oftal). «Questa convocazione – ha sottolineato – rivela l’attrattiva della grazia e il desiderio della nostra risposta».

La mattinata ha avuto inizio con la meditazione del Rosario con i Misteri della Gioia. A guidare la preghiera mariana è stato Cesare Bidinotto, diacono permanente dal 2005, impegnato nel Presidio ospedaliero Corberi dedicato alla riabilitazione di persone con patologie neuropsichiatriche.

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L’omelia dell’Arcivescovo (qui il testo integrale) ha preso le mosse da una serie di domande, che «non possiamo evitare». Domande che si pongono persone sane e malate, chi assiste e chi invece sta lontano, giovani e vecchi, chi vede i propri cari invecchiare, ammalarsi, morire… Domande, a seconda dei casi, «arrabbiate e devote»: «Che cosa mi è capitato? Che cosa sarà di me? Chi mi può guarire? In quale parte del mondo esiste una medicina adatta a me?». E ancora: «Che cosa c’è nel cuore umano?». Cose «terribili» di cui parla San Paolo nella Lettera ai Galati, riferendosi a comportamenti umani malvagi e dissoluti. «Perché ci sono persone così cattive, indifferenti, violente?», si è interrogato l’Arcivescovo.

Un momento dell’omelia (Agenzia Fotogramma)

E dove sono le risposte a questi quesiti? C’è chi non se le aspetta e si rassegna di fronte a «un enigma incomprensibile e spaventoso», preferendo «cercare distrazioni» e «non pensarci troppo». C’è chi invece le cerca nella sapienza dei popoli: «Antichi miti, ragionamenti complicati, discussioni interessanti e forse inconcludenti…», ha notato monsignor Delpini. E c’è chi, infine, le cerca «provocando Dio», invocando «con devozione» o pretendendo «con rabbia che si levi di mezzo dai pensieri e dai discorsi dell’umanità, se non ha risposte per le domande difficili».

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La realtà è che Gesù «non ha risposte pronte», ma «promette il dono dello Spirito che guida alla verità». Lo Spirito aiuta a percorrere la strada «che porta rivelazione che avvolge di luce tutta la vita, le domande e le situazioni». Allora, se «la verità tutta intera è Gesù e la sua gloria», il male operato dall’uomo e che aggredisce la vita di uomini e donne «non ha una spiegazione, ma è il deserto da attraversare per arrivare alla terra promessa». Richiamando un concetto al centro della sua Proposta pastorale 2019-2020, l’Arcivescovo ha sottolineato: «Non so perché io soffro, sono malato, cieco, paralitico, so però che questa mia situazione è occasione… Non so perché tu sei aggressivo, ingiusto, violento, corrotto, ma so che l’incontro con te è per me occasione. Ogni situazione è occasione perché sempre lo Spirito può far crescere i suoi frutti».

Il Duomo gremito (Agenzia Fotogramma)

«Ricevere lo Spirito di Dio e trovare la via che porta alla gioia mentre attraversiamo il terribile deserto che è talora la vita»: questo il fulcro della celebrazione giubilare. Lo Spirito «che Gesù ci invia per essere pellegrini della speranza» e di cui abbiamo bisogno «per deporre la rabbia e trovare pace, per vincere l’egoismo e praticare l’amore, per liberarci dallo scoraggiamento e ricevere la promessa che suscita la speranza». Lo Spirito che aiuta ad amare anche in situazioni in cui non si può capire.

Al termine della celebrazione, rinnovando il suo ringraziamento a quanti hanno collaborato a «un momento così intenso», l’Arcivescovo ha aggiunto: «L’evento giubilare rende sereno il cuore e fiducioso lo sguardo verso il futuro. Noi l’abbiamo celebrato qui, con i nostri Santi e i nostri Vescovi, dentro una grazia che ci salva». E la solenne benedizione conclusiva, «perché tutti siate sempre disposti e capaci di amare. In un giorno di sole come questo, forse è più facile sentirsi benedetti da Dio. Ma io vi benedico perché abbiate questa certezza sempre, anche nei giorni in cui è più difficile sorridere e amare».



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