Da mesi il prezzo dell’oro continua a battere un record dopo l’altro, gravitando intorno alla soglia dei tremila dollari per oncia troy (31,1 grammi, l’unità di misura usata nel commercio dei metalli preziosi). A ottobre, in un articolo tradotto da Internazionale per il numero 1587, l’Economist spiegava che oggi “investono nel metallo prezioso più di due terzi dei family office, aziende di gestione patrimoniale rivolte alle singole famiglie”.
La domanda è in gran parte asiatica: Cina e India costituiscono un quinto del pil mondiale, ma i due paesi comprano la metà dell’oro venduto nel mondo. A metà del 2024 in Cina gli acquisti di lingotti e monete d’oro erano aumentati del 44 per cento rispetto all’anno precedente. La domanda è alimentata anche dalle banche centrali: la quota di oro nelle loro riserve è diminuita per decenni, passando da quasi il 40 per cento del 1970 ad appena il 6 per cento del 2008, ma di recente ha ripreso a salire, fino a raggiungere l’11 per cento nel 2023.
Tutti questi soggetti sono spinti a comprare più oro, perché temono per il futuro dell’economia: tra guerre, persistenza dell’inflazione e conflitti commerciali cercano un bene che possa mettere al riparo i loro soldi. E da sempre l’oro è il bene rifugio per eccellenza. In questa fase sono particolarmente attivi gli operatori statunitensi, che da tempo comprano oro e svariati tipi di metalli (soprattutto il rame) in giro per il mondo e lo convogliano sulla piazza di New York prima che entrino in vigore i dazi promessi dal presidente Donald Trump. Grandi quantità di oro stanno lasciando Londra, il principale mercato mondiale dei metalli, migrando sull’altra sponda dell’Atlantico, dove i prezzi ormai sono decisamente più alti.
Come scrive Bloomberg, dal 5 novembre 2024, il giorno dell’elezione di Trump, al 31 gennaio 2025, “quasi quattrocento tonnellate d’oro, per un valore di 38 miliardi di dollari, sono arrivate a New York, insieme a 1.200 tonnellate d’argento”. A Londra, finora il più importante mercato dei metalli del mondo, la lista degli operatori in attesa di ritirare l’oro è così lunga che ci vogliono settimane per smaltire una richiesta. Grandi quantità di oro stanno lasciando anche la Svizzera: a dicembre sono partite verso New York 64,2 tonnellate di oro, undici volte di più rispetto a novembre.
In genere il metallo è trasportato agevolmente in aereo, ma c’è un limite dettato dal fatto che gli assicuratori coprono i carichi solo fino a un valore massimo per volo. Inoltre, per andare oltreoceano l’oro deve cambiare formato: a Londra, infatti, è custodito in barre da quattrocento once (poco più di undici chilogrammi), mentre a New York si scambiano barre da cento once. Questi problemi non si pongono per l’argento, che viene scambiato in barre da mille once sia a Londra sia a New York. Nel caso dell’argento, tuttavia, gli spostamenti sono più difficoltosi, perché di solito il suo prezzo non compensa i costi del trasporto in aereo e, se necessario, è spedito in nave.
In Europa arrivano grandi quantità del metallo prezioso che provengono da attività dannose per le persone e per l’ambiente, e che sfuggono a ogni controllo
La situazione non è destinata cambiare, quanto meno nel breve periodo. Basti pensare che la domanda potrebbe essere rafforzata ulteriormente da un recente provvedimento del governo cinese. Pechino ha approvato un programma pilota che per la prima volta permette a dieci grandi aziende assicurative di investire nell’oro fino all’1 per cento del loro patrimonio. Secondo alcune stime, questa misura potrebbe tradursi in acquisti di oro fino a duecento miliardi di yuan (27,4 miliardi di dollari). Ma c’è un altro fattore che sta emergendo, fa notare Gillian Tett sul Financial Times: alcuni fondi speculativi di Wall street, un mondo da cui proviene il segretario al tesoro di Trump, Scott Bessent, stanno scommettendo su “una rivalutazione delle riserve auree degli Stati Uniti”.
Attualmente, spiega Tett, sono registrate nel bilancio federale a 42 dollari all’oncia troy, un valore che risale al 1973. Se dovessero essere contabilizzate tenendo conto della quotazione attuale, cioè più di 2.900 dollari, i conti federali in un sol colpo riceverebbero una sostanziosa iniezione di liquidità, passando da undici a 758 miliardi, una somma che ridurrebbe la necessità di emettere un bel po’ di nuovo debito quest’anno. Basterebbe un semplice accordo di repurchase, una vendita di titoli con un simultaneo accordo di riacquisto a un prezzo prefissato. Ovviamente, più sale il prezzo dell’oro più “questa potenziale manna dal cielo cresce”.
Nessuno sa se le cose andranno davvero così, tanto più che oggi gli Stati Uniti sono guidati da un presidente, per usare un eufemismo, imprevedibile. Una cosa però è certa: con un bilancio federale caratterizzato da un deficit e da un debito enormi e in continua crescita, per Bessent non sarà facile “conciliare l’equilibrio delle finanze pubbliche con le richieste di spesa di molti esponenti populisti e nazionalisti delle fila trumpiane”, a cui non può certo proporre sostanziosi aumenti delle tasse. Quei soldi, tra l’altro, potrebbero essere usati da Trump per creare il fondo sovrano annunciato di recente.
A poco serviranno, sottolinea ancora Tett, i tagli imbarazzanti che hanno cancellato l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid), peraltro una realtà relativamente piccola, o l’altrettanto imbarazzante blocco dei pagamenti federali voluto da Elon Musk. I nazionalisti, inoltre, vogliono un dollaro più debole, perché pensano che la valuta forte abbia distrutto l’industria manifatturiera locale, ma allo stesso tempo sanno che non possono rinunciare al dominio del dollaro come valuta di riserva globale, che alimenta Wall street con capitali da tutto il mondo e permette alla Casa Bianca di usare la valuta per colpire con sanzioni e divieti i suoi avversari.
Di fronte a questi dilemmi Bessent ha bisogno di essere “creativo”. Ed è in un contesto simile, conclude Tett, che alcune idee fino a poco tempo fa considerate assurde e impraticabili cominciano a “entrare nel mondo del possibile”. Oggi, per esempio, nessuno si sorprende più di tanto che Trump voglia impossessarsi della Groenlandia e del canale di Panamá o che voglia far diventare il Canada un nuovo stato degli Stati Uniti e la striscia di Gaza una riviera turistica senza i palestinesi. E quindi neppure che il prezzo dell’oro sia alle stelle e che gli operatori di Wall street prendano i lingotti custoditi nei forzieri di Londra e li portino in aereo a New York.
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