Enrico Lucci, vincitore morale di Sanremo e unica “voce” del Festival dell’era Meloni

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


Viene da zona Castelli l’unica vera voce presente in questi giorni nel curiale Festival nazionale della canzone, Anno III dell’Era Meloni. Suo l’unico senso del limite al banale spudorato del resto

Enrico Lucci, incursore dalla forza tranquilla, bandiera di Striscia la notizia, è forse l’unica vera “voce” presente in questi giorni nel curiale Festival di Sanremo, Anno III dell’Era Meloni. L’autentico vincitore morale. Dissonante, Lucci, porta in sé l’acido muriatico dell’ironia appresa, immagino, tra Ariccia e Albano laziale, l’uomo infatti temo abbia altrettanto intuito nei ridenti Castelli il necessario senso del limite davanti ai luoghi comune e al banale spudorato, e ancora, perché no, una propria non meno ironica coscienza “civile” e – non sembri retorica da 25 aprile sempre! – doverosamente, non sembri un vezzo “radical chic”, antifascista.

Ciò che Lucci indossa intorno al collo non sarà proprio lo “straccetto rosso” dei versi resistenziali di Pasolini, eppure si avvicina a quel sentire. Assodate le sue prerogative “corsare”, sembra che la guardiania Rai volesse nei giorni scorsi, temendone la natura vivace, precluderli l’accesso alla “Sala stampa” del festival, come accade sempre a chi sia ritenuto ingestibile, indesiderabile, attenzionato, inaffidabile, qualità, quest’ultima, che ogni servo sciocco del Palazzo perfino canoro reputi essere un problema, soprattutto quando non si deve contraddire una sagra popolare che, parola di conduttore dall’incedere radiofonico circoscrizionale, Carlo Conti, per discontinuità rispetto alla gestione trascorsa “rumorosa” debba semmai assomigliare a un “Festival dell’amicizia” (sic); i più anziani, ricorderanno la stessa dicitura al bianco fiore delle manifestazioni politico-ricreative dello Scudo crociato.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Se è concessa una nota personale, Moreno Pisto, direttore di MowMag, mi avrebbe voluto “inviato speciale” nella Città dei Fiori. Declinando, ho commentato al telefono con Patty Pravo il pericolo scampato: “Nicoletta, se fossi andato, probabilmente mi avrebbero trovato morto in una stanza come il tuo amico Luigi Tenco”. Per noia e disagio, s’intende. Esagero, ma la banalità di un format che quest’anno sembra avere come unico scopo non indispettire il cerimoniale politico ufficiale mi vede umanamente in fuga. Per valutare le canzoni in gara, ammettendo personale imperizia, ignorando il FantaSanremo, mi rimetto invece all’opinione di un duca della critica musicale, Marco Molendini, che, su Dagospia, ha lamentato che “la musica non esiste (col paradosso che questa edizione dà più spazio proprio alle canzoni), le voci si assomigliano tutte: distorte, corrette, rese impersonali dall’uso sproporzionato dell’autotune. I cantanti, vista l’omologazione, per farsi riconoscere non hanno altro mezzo che puntare sull’apparenza”.

Quanto a giudicare ciò che i forbiti chiamano, “outfit”, osservando i concorrenti con passione da pedicure, altrettanto: no, grazie. Idem per ciò che contempli il gossip corrivo su Fedez, Tony Effe, Achille Lauro (in smoking da vampiro Bela Lugosi) e la provocante Elodie, cui comunque va il nostro plauso, poiché a una domanda con sapore di Minculpop – “Voterebbe Fratelli d’Italia?” – senza tentennamenti ha risposto: “Neanche se mi tagliassero una mano”. Ora che ci penso, è stato proprio Enrico Lucci, Spartaco tra le nutrie adoranti la scaletta musicale, a porgliela nel silenzio timorato dei molti peones presenti in “Sala stampa”, che mai violerebbero il tabernacolo infiorato sanremese. Se occorre però dirla tutta, pensandomi scampato alla calca che per l’occasione presidia sempre il Teatro Ariston, rimasto in pigiama sul divano di casa, ho sentito il bisogno di mandare un messaggino di vicinanza “militante”, proprio a lui, Lucci, cui questa nota, si sarà intuito, rende omaggio in modo espressamente, spudoratamente apologetico.

Enrico, sappiatelo, ha risposto con un emoji dove la faccina del crudele Stalin accompagna con le dita un bacio. Avrei voluto contraccambiare con la foto di una scultura di Trotsky di Marco Lodola, le cui opere luminescenti adornano altrettanto la facciata del teatro consacrato alle cucine omonime. Sempre a Lucci si deve una perfida domanda a Giorgia (Todrani), favorita del festival, protagonista, tempo addietro, di una risposta fulminante ai lagnosi post identitari della Meloni: “Anch’io sono Giorgia, ma non rompo i coglioni a nessuno”. Alla richiesta se avesse voglia adesso di inviare un bacio conciliatorio al “Presidente” Giorgia (Todrani) ha aggiunto: “Da donna posso mandare solo baci a donne che lavorano, ognuno ha le sue idee, io sono cresciuta in un contesto diverso, se poi devo mandare un bacio lo mando a te”.

Parafrasando Bertolt Brecht a proposito delle tribolazioni di Galileo Galilei davanti ai giudici arcigni dell’Inquisizione, è nuovamente il caso di dire: sfortunato quel festival che abbia bisogno dell’eroe Enrico Lucci per sollevarsi dal timorato conformismo populista. Spiegava con pertinenza musicologica Gianni Borgna, politico romano, “compagno di strada” di Pier Paolo Pasolini, storico della canzone popolare italiana, che il Festival di Sanremo fin dal suo primo giorno è l’indicatore, il “barometro” dello stato politico generale dello Stivale. Anche quest’anno, per l’edizione LXXV, basterà guardarne pochi istanti per comprendere che la cosa si presenta immutabile, esiziale. Soltanto grazie a Enrico Lucci, e all’ospite patafisico Nino Frassica, il supplizio appare comunque in parte, davvero piccola, infine tollerabile. Altro che “Tutta l’Italia, tutta l’Italia…”.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Source link