Donato Monopoli, ucciso a 26 anni dopo una lite in discoteca a Foggia. Processo azzerato, il padre: «Difficile credere nella giustizia»

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di
Luca Pernice

L’aggressione a Foggia. Dopo la decisione della Cassazione, parla Giuseppe Monopoli:«Siamo distrutti e delusi, è stato ucciso per la seconda volta»

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«Siamo distrutti e delusi. Donato è stato ucciso per la seconda volta», commenta Giuseppe Monopoli, il padre di Donato, alla notizia che la Corte di Cassazione ha ordinato un nuovo processo annullando le condanne dei giudici di Bari, in secondo grado, per i due giovani accusati di aver provocato la morte del figlio. Donato Monopoli, 26 anni, di Cerignola, morì il 7 maggio del 2019 all’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo dopo sette mesi di agonia. Il 26enne fu picchiato dopo una lite per futili motivi il 6 ottobre del 2018 all’esterno di una discoteca di Foggia, da due coetanei. Francesco Stallone e Michele Verderosa nel processo di appello a Bari erano stati condannati a 10 e 7 anni di reclusione.

Come avete vissuto questa decisione della Corte di Cassazione?
«È stato uno strazio. Non ci aspettavamo una decisione simile. Naturalmente attenderemo le motivazioni della Corte di Cassazione per capire il perché di questa decisione. Ma vi assicuro che è stato un duro colpo, l’ennesimo, per tutta la nostra famiglia».




















































Cosa vi aspettavate dalla sentenza?
«Ci aspettavamo solo giustizia. Non chiediamo e non abbiamo mai chiesto altro. Nessuna vendetta. Pretendiamo solo giustizia. È inutile nasconderlo che siamo delusi da chi ci avrebbe dovuto tutelare e, invece, non lo ha fatto. Dovrebbe essere la cosa più semplice in uno Stato democratico ottenere giustizia».

La Corte d’Assise di Appello di Bari aveva derubricato in omicidio preterintenzionale la condanna a omicidio volontario, inflitta dalla Corte d’Assise di Foggia, che nel giugno del 2022 aveva condannato Stallone a 15 anni e 6 mesi e Verderosa a 11 anni e 4 mesi.
«Ripeto non vogliamo fare polemiche o altro. Pretendiamo solo giustizia. Sono anni che tutta la famiglia attende giustizia. Alla sentenza di secondo grado esprimemmo la nostra indignazione perché per la giustizia italiana la vita di nostro figlio valeva 10 anni. E invece ora arriva questa novità che ci porta ulteriore sofferenza. Perdere un figlio è un dolore troppo grande per un genitore. Perderlo in modo drammatico, come è accaduto per il nostro Donato, è ancora più straziante. Un dolore che non passa, che non si attenua neanche con il passare degli anni. Un dolore che aumenta quando poi arrivano notizie e sentenze come quelle della Cassazione».

In questi anni è nato un movimento spontaneo che non vi ha abbandonato ed è stato vicino a voi nel chiedere giustizia.
«Sono amici, conoscenti ma anche semplici cittadini che si sono uniti al nostro dolore e che chiedono anche loro giustizia per Donato. Hanno compreso il nostro dolore e cosa significhi convivere con questa tragedia ogni giorno. È difficile andare avanti. Siamo distrutti, molto. Ma il nostro strazio deve continuare fino ad avere giustizia. Non riesco più a guardare in faccia gli altri miei figli, i due fratelli di Donato, e mia moglie. Sono sette anni che combattiamo. Non abbiamo più parole e soprattutto siamo stanchi di combattere per una cosa che dovrebbe essere normale avere. Ma dobbiamo continuare. Lo dobbiamo a Donato. Dobbiamo continuare a combattere per avere giustizia».

Credete ancora nella giustizia?
«È difficile rispondere a questa domanda. Noi tutti siano morti nel giorno in cui il cuore di Donato ha smesso di battere e dopo la decisione della Corte di Cassazione è come se morissimo anche noi di nuovo. Io vorrei credere nella giustizia. Lo devo a Donato ma vi confesso che è davvero difficile. Molto difficile crederci ancora».


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