Il grande gioco per le risorse strategiche dell’Ucraina

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L’accordo per la cessione di buona parte delle risorse ucraine di terre rare e materiali critici agli Stati Uniti, discusso da Volodymyr Zelensky e Donald Trump, per ora non è ancora pronto. A Monaco di Baviera, dove si svolge la Conferenza sulla Sicurezza, i delegati di Kiev e Washington non sono riusciti a trovare una quadra: formalmente, Zelensky avrebbe lamentato problemi pratici nella bozza proposta dagli Usa per la trasmissione delle risorse minerarie di Kiev alle ditte statunitensi.

Perché Zelensky non firma l’accordo con Trump

Il presidente ucraino era stato il primo a proporre a Trump uno scambio chiedendo a Washington il prosieguo dell’assistenza militare contro l’aggressione russa in cambio di una partnership economica su queste risorse. Negli ultimi giorni, sono intervenute due accelerazioni: da un lato, l’apertura diretta di canali di trattativa tra Washington e Mosca che mettono in secondo piano l’Ucraina; dall’altro, una richiesta esorbitante da parte degli States. Come nota Politico.eu, Trump “ha affermato che gli Stati Uniti avrebbero avuto bisogno di 500 miliardi di dollari in minerali ucraini per ripagare il sostegno militare e civile fornito a Kiev dall’inizio della guerra, una cifra molto più alta degli aiuti effettivamente forniti dagli Stati Uniti”.

Difficile trovare spazio per una cessione tanto ampia di concessioni estrattive e appalti che, sulla carta, arrivino a coprire questa cifra. E ancor più difficile farlo senza violare le normative commerciali internazionali, dato che di fronte alle prospettive della ricostruzione futura dell’Ucraina molte nazioni potrebbero impugnare questa partnership davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Inoltre, alzando così tanto la posta Trump ha messo l’Ucraina di fronte alla prospettiva di non avere abbastanza minerali da offrire per la consistente quota di risorse sotto controllo di Mosca.

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Il tesoro minerario dell’Ucraina

La ricchezza mineraria dell’Ucraina, e soprattutto della sua regione più contesa, il Donbass, è da tempo nel mirino della Russia. Un report di Robert Muggah (ricercatore presso la Princeton University) e Richard von Weizsäcker (Fellow presso la Robert Bosch Academy) per il Center for International Relations and Sustainable Development (Cirsd) di Belgrado ha stimato che “prima dell’invasione russa del 2022, l’Ucraina ha registrato 20.000 depositi (8.700 dei quali operanti) contenenti minerali, tra cui 117 dei 120 metalli e minerali più utilizzati a livello globale. Le autorità ucraine e internazionali hanno riferito che il paese ospitava le principali riserve recuperabili di carbone, gas, ferro, manganese, nichel, titanio e uranio al mondo“. 

Inoltre, lo studio del Cirsd ricorda che prima della guerra “l’Ucraina era tra i maggiori fornitori di gas nobili come il neon (per la fabbricazione di microchip) e vantava i più significativi depositi di litio e terre rare conosciuti in Europa”. Il World Economic Forum aggiunge a ciò il fatto che il Paese detiene riserve significative di metalli non ferrosi come rame, piombo, zinco e argento.

Il Cirsd prosegue l’analisi sottolineando che “la maggior parte di questi minerali si trova nel cosiddetto “scudo ucraino”, che si estende da Luhansk, Donetsk, Zaporzhizhia e Dnipropetrovsk a Korovohrad, Poltova e Kharkiv”, proprio le regioni più coinvolte nella guerra

Molti di questi minerali sono vitali per l’industria della difesa, per la transizione energetica e il suo retroterra economico-produttivo, per la microelettronica e per il connubio tra sicurezza industriale e sicurezza nazionale. Ebbene, il Cirsd ha stimato che almeno la metà del litio, dello stronzio, del cesio, della manganese e del tantalio ucraino siano in mano russa assieme al 56% del carbone, a un quinto del gas e oltre un decimo del petrolio. Complessivamente, il 40% delle risorse strategiche ucraine sarebbe sotto il controllo di Mosca e anche The War Zone ha sottolineato che l’accordo proposto inizialmente da Zelensky e oggi preso in carico da Trump con le sue ampie richieste appare di difficile applicazione.

Del resto, di fronte a depositi ancora in larga parte da esplorare e tutte da misurare un montante di 500 miliardi di dollari nelle aree ancora sotto controllo di Kiev è difficile da quantificare. La Russia controlla direttamente risorse dal valore di 7.500 miliardi di dollari nel Donbass (in cui molto è il peso del carbone, dove ci sono alcuni tra i depositi più grandi del mondo), oltre a un valore stimato di 258 miliardi di dollari di materie prime critiche in Crimea. Altri 3.500 miliardi di risorse stimate sono in aree a Est del Dniepr minacciate dall’offensiva russa, facendo superare un valore totale di 11,2 bilioni di dollai agli asset che Mosca può potenzialmente sottrarre alla disponibilità ucraina e, dunque, americana.

Le opportunità per l’Europa (e per l’Italia)

In quest’ottica, è comprensibile che l’Ucraina non voglia firmare cambiali in bianco senza la garanzia di poter mantenere richieste esorbitanti. Al contempo, la finestra di tempo che si apre offre spazio alle multinazionali di altri Paesi l’occasione per organizzarsi e valutare un possibile ingresso nel mondo minerario di Kiev.

Pensiamo solo a due attori italiani: Eni e Enel, che della diversificazione energetica del Paese fanno un obiettivo-chiave. O ad altri gruppi, dalla francese Total alla belga Solvay, attivi nel monitoraggio di litio, terre rare ed altri asset. Una frenata dell’accordo ucraino-americano può offrire una finestra d’opportunità ai colossi europei per evitare l’ingresso in forza dei competitor di oltre Atlantico. All’Europa la possibilità di alzare a Trump e a Putin il prezzo per la negoziazione diretta sull’Ucraina che esclude l’Ue. Programmi come il Critical Raw Material Act chiedono all’Europa di rafforzare la sua produzione di asset fondamentali per industrie ad alto valore aggiunto e capaci di creare valore aggiunto in campo tecnologico.

Conto e carta

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“Nel marzo 2023 la Commissione  ha proposto di stabilire obiettivi UE pari ad almeno il 10% per l’estrazione, il 40% per la lavorazione e il 15% per il riciclaggio in Europa di materie prime critiche, tra cui le terre rare”, ricorda la rivista Horizons. Garantire una copertura al settore in Ucraina in sinergia con gli attori locali può essere un segno concreto capace di rilanciare un’anemica capacità d’azione europea grazie al contributo di un’eccellenza industriale, di blindare concretamente, oltre la retorica, il sostegno a Kiev e di rendere la negoziazione senza l’Europa più difficile ai dioscuri che intendono affidare ai mutui rapporti di forza la svolta in Est Europa. Ne va della sicurezza economica e della prosperità del Vecchio Continente, già danneggiati dalla guerra russa e dalle parallele strategie americane e su cui oggi si può fare un passo concreto.

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