La riforma dello sport: incompleta, complessa e indigesta per gli operatori

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Il comparto sportivo, in nome di una sua dignità e di un valore economico che esprime, dovrebbe avere più considerazione e rispetto, anche attraverso un quadro normativo che lo disciplini con chiarezza e certezze, come invece non sta accadendo

marcotornatore@gmail.com

A distanza di oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore della riforma, il sentiment diffuso nel mondo dello sport è poco positivo verso un cambiamento normativo che ha complicato molto e migliorato poco, lasciando sacche di non chiarezza e confusione da dissipare, contemperando parallelamente una disciplina del settore che sembra fin troppo rigida e fonte di iper burocratizzazione sterile.

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Lo spunto per valutare come la riforma dello sport viene percepita dagli addetti ai lavori lo hanno offerto i diversi momenti di confronto e i tanti commenti a seguire o i dialoghi dei molti titolari e manager presenti a ForumClub/Piscine, chiusosi venerdì 14 febbraio e, sotto bel altro profilo, l’editoriale, pubblicato nella sua newsletter, da Diritto e Sport (Italia Oggi), sabato 15 febbraio, a firma Katia Arrighi.

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L’editoriale dell’autorevole testata mette in luce come si dia centralità ad argomenti che contano nulla per il mondo sportivo, ovvero quello in prima linea e che è la colonna non solo per i servizi sportivi offerti alla collettività, ma soprattutto la base su cui si costruisce lo sport di vertice, che sforna campionissimi come un tempo l’Italia non sapeva esprimere; grandi campioni e trionfi che sono vitali in primis per le istituzioni sportive e per chi le governa.

Auspicare più rispetto per le istituzioni è, forse -servilmente? – doveroso, ma prima dovremmo preoccuparci di chi è l’anima del comparto sportivo, che alimenta le fortune delle “istituzioni” sovente più preoccupate di raggiungere obiettivi autoreferenziali che a risolvere i problemi di lavoratori, operatori, atleti, tecnici e società sportive, oggi alle prese anche con le tante, troppe difficoltà che la riforma dello sport sta determinando. Pure per l’insipienza con cui le “istituzioni” hanno confezionato la riforma dello sport. Il rispetto, prima di tutto, è dovuto a chi è il motore e alimenta la vita, i processi, i successi, il futuro dello sport e del Paese.

ph Drazen Zitic by freepik

Ben diverse sono infatti le opinioni del “motore”, quindi di chi opera nel mondo dello sport, circa le istituzioni, e Wbox stessa, in precedenti articoli, ha espresso molte volte riserve sia su quanto previsto dalla nuova legge, sia sui costanti e intempestivi posticipi che, più che aiutare,  confondono e indispongono coloro che si erano attivati anticipatamente per rispettare scadenze da tempo annunciate.

Decisioni che disorientano e che sono frutto di scelte e cortocircuiti delle “istituzioni” sportive, forti del proprio potere e sempre più concentrate su decisioni non sempre necessarie o premianti per il settore. La riforma – incompiuta e claudicante- è la più fervida rappresentazione delle incongruenze sistemiche.

Insomma, possiamo parlare di una riforma fatta all’italiana, dove chi l’ha spinta e sostenuta non ha tenuto conto dei veri problemi dello sport o quantomeno li ha interpretati male o solo parzialmente (dalle piccole ASD, ai lavoratori che hanno diversi fronti professionali aperti, a ASD e SSD oggi datori di lavoro in difficoltà e confusi, a società sportive che non operano nella Capitale, ma in zone più periferiche misurandosi con pesanti criticità territoriali e operative ben diverse rispetto a quelle delle città medio-grandi).

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Basta tuttavia aprire il confronto con chi gestisce o ha la proprietà di impianti sportivi, palestre e piscine in particolare, per cogliere il disappunto. Gli adempimenti cresciuti a dismisura, l’introduzione di istituti un tempo non considerati, come il safeguarding, decisamente importante per la tutela dei minori, ma tendenzialmente impraticabile per tante società, salvo avvalersi di consulenti e figure idonee, spesso con oneri e investimenti insostenibili per i più.

Senza contare gli aspetti fiscali, decuplicatisi per complessità; così come la posizione dei lavoratori sportivi, la cui assunzione è limitata a pochi rispetto alle prospettive iniziali cui aspirava la riforma, privilegiando la maggioranza la partita Iva e i cococo: il che comporta una sottostima dei valori numerici che la forza lavoro del mondo sportivo esprime e soprattutto i problemi sottesi a una riforma che digerisce male anche il lavoratore sportivo stesso, figuriamoci il datore di lavoro no profit, che ha oneri ben più pesanti da sostenere.

Possiamo tranquillamente asserire che oggi si apprezza pochino l’effetto della riforma, percependo gli operatori molto di più i gravami economico finanziari (acuiti da quelli energetici), la giungla degli adempimenti e delle scadenze, la complessità professionale che oggi per una ASD o SSD comporta rispetto al passato – sono in difficoltà anche i professionisti, come i fiscalisti e i commercialisti che affiancano gli enti sportivi, figuriamoci quest’ultimi –, la burocrazia sempre più penetrante in un sistema che un tempo era perfettibile e che oggi, invece di essere migliorato, fa acqua da troppe parti.

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Forse continuare a giocare sull’equivoco sistemico di ASD e SSD da preferire a società di capitali, quando alcune realtà sportive esprimono numeri da medie imprese, contando più di 100 collaboratori e fatturati di milioni di euro, è il peccato originale che fa veramente profondo difetto al sistema sport italiano. Un sistema così complesso e insidioso che i grandi gruppi stranieri preferiscono evitare, preferendo investire in altri Paesi, le cui regole sono chiare e chi fa profitto non solo si inserisce in un circuito trasparente e interpretabile, ma viene riconosciuto come un’azienda la cui identità dà valore e dignità economici a un comparto che, in Italia, si fatica ancora a considerare come sistema garanzia di elevato contributo al PIL nazionale.

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Se la riforma doveva risolvere tanti problemi, oggi sarebbe azzardato asserire che è un processo evolutivo di successo; più credibile affermare che il nuovo perimetro normativo è lo specchio del sistema Italia: complicato, burocratizzato, difficile da interpretare e da vivere quotidianamente.

Speriamo che le Istituzioni che qualcuno – anche a ragione – invita a rispettare, abbiano più maturità per rispettare chiunque operi nel mondo dello sport, disciplinando in modo chiaro e semplice un comparto che, per le sue difficoltà e diseconomie, tiene sempre più lontane le nuove generazioni, consapevoli che lo sport in Italia offra poche possibilità professionali ben remunerate, orientandosi giustamente verso altri settori. Il ricambio generazionale, prevedibilmente, stenta, così come stenta un sistema dalle troppe falle, allargate da una riforma che, per ora, convince poco.

Visto che è stato a più riprese evocato, questo l’editoriale di Katia Arrighi, il cui invito è condivisibile, ma che reputiamo oggi non sia la priorità del sistema sport italiano.

IL RISPETTO DELLE ISTITUZIONI SPORTIVE di Katia Arrighi
Il rispetto DELLE istituzioni sportive; il rispetto ALLE istituzioni sportive Possiamo giocare con la nostra bellissima lingua e usare DELLE o ALLE con un cambio di prospettiva ma innegabilmente non cambia il risultato: le istituzioni sportive vanno rispettate. Quando si organizza un evento, si mandano inviti, si preparano i posti a sedere in convegni o simposi è necessario rispettare la governance sportiva nel suo complesso non scegliendo questo o quel rappresentante semplicemente per piacere personale. Di recente mi è capitato, nuovamente, che nella organizzazione di giornate dedicate allo sport si sia proceduto a coinvolgere alcune istituzioni dimenticandone altre e la scusante usata è stata “ma non sono cose importanti, noi ci occupiamo dello sport vero “. Ammesso e non concesso che di sport non vero non ne ho mai sentito parlare, avere rispetto delle istituzioni sportive significa dare all’interno settore la dignità che gli è dovuta. Il mondo sportivo italiano è composto da diversi organismi sportivi alcuni dei quali di diritto pubblico e altri di diritto privato. C’è una sorta di “piramide “che parte dai poli del Coni e del Cip fino giungere alle associazioni dei territori passato per Federazioni, Discipline associate, Enti di promozione sportiva fino alle Benemerite. Non va dimenticato il Dipartimento per lo sport e non va dimenticata Sport e salute. Esiste e va rispettato un protocollo di inviti e di assegnazione posti durante le manifestazioni. Nel rispetto di chi organizza e nel rispetto delle istituzioni sportive che hanno la medesima dignità delle istituzioni civili, religiose e militari.



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