Il sogno di padre Dall’Oglio: il docufilm che parla ai giovani e al mondo musulmano

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«Nella serata della finale di Sanremo la nostra sala era piena. Le persone sono rimaste fino a mezzanotte a parlare di padre Dall’Oglio. Quando sembra che tutto il Paese sia paralizzato dal Festival, un’Italia, di cui nessuno parla e che ha altre priorità, ha guardato con passione il docufilm e ha partecipato al dibattito» commenta a caldo Fabio Segatori, regista del documentario Padre Dall’Oglio, visibile su RaiPlay. Dopo la proiezione al Senato della Repubblica, il film ha innescato una serie di forum itineranti in tutta Italia, il primo in Lombardia sabato scorso a Monza, all’oratorio San Biagio (il prossimo il 16 marzo all’Antoniano di Bologna). Un momento formativo, sotto la supervisione di monsignor Umberto Oltolini, che ha unito il racconto con le testimonianze, non per celebrare il gesuita romano scomparso a Raqqa nel 2013, ma per attualizzarne la figura e l’esempio. Presenti anche Immacolata “Machi” Dall’Oglio, una delle sorelle, suor Deema Fayyad e don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia Cristiana.

Da qui si parte. Da padre Dall’Oglio, un uomo veramente libero, guidato da un sogno più grande di lui: il dialogo fra l’islam e il cristianesimo, per il quale ha messo in gioco la vita. Un sogno talmente potente da “chiamarlo” a riedificare un monastero abbandonato e quasi inaccessibile nel deserto siriano: Deir Mar Musa, trecento gradini per accedervi. È l’ultimo ventennio del secolo scorso quando padre Dall’Oglio, nel suo peregrinare in Siria, si imbatte in quel vecchio rudere che domina il deserto: a colpirlo non è la bellezza drammatica di ciò che resta dell’edificio in sé, ma la forza dirompente del luogo, di quel silenzio assordante che di lì a poco lui sarebbe andato a riempire di senso.

Oggi che il sogno di una Siria riconciliata sembra svanire, ne scaturisce un fiume in piena di domande: si è ancora disposti a lottare per i propri sogni? Se sì, fino a che prezzo e in nome di che cosa? Quali sono i (falsi) miti, gli ideali? Siamo capaci di visioni? Ma, soprattutto, lo spirito di sacrificio fa ancora parte di quest’epoca del “mordi e fuggi”, del “tutto e subito”?

«Deir Mar Musa l’ha costruita lui, pietra su pietra, chiamando a raccolta d’estate gli amici nuovi e di una vita. Una delle cose da dire ai nostri giovani è proprio questa: che c’è un altro modo di passare le vacanze, oltre a fare i gavettoni sulla spiaggia o i disastri di cui sono piene le pagine di cronaca. Questo modo quei giovani, non marziani ma ragazzi e ragazze come i nostri, lo avevano trovato nel rimettere in piedi un monastero» racconta Segatori nel suo intervento. «Perché ho girato il docufilm? Perché queste vite straordinarie vanno raccontate, perché questa umanità non può, non deve andar perduta. Se nessuno lo fa, i giovani non le conosceranno mai, penseranno che queste cose non esistono. Ricostruire una chiesa non appartiene solo a san Francesco, di cui tutti ricordiamo San Damiano ad Assisi, ma anche a padre Dall’Oglio. Credo fermamente che fare film con una rilevanza sul piano etico, di esempio per le nuove generazioni, sia il compito di noi piccoli produttori artigiani: per seguire gli algoritmi di quello che funziona di più c’è l’industria cinematografica».

Continua: «Stiamo predisponendo i sottotitoli in francese, inglese e arabo per le proiezioni negli istituti italiani di cultura all’estero. Uno dei miei obiettivi è far dialogare quest’opera anche con il mondo musulmano, vederla in onda sulle televisioni arabe. Il dialogo esiste se è bilaterale. Come si dice anche nel film, la pace si fa col nemico».

«In un passo del Vangelo molto significativo è scritto: “Voi siete il sale della terra, ma se il sale diventa insipido, con che lo si salerà?”. Padre Dall’Oglio era una persona “salata”. Lo sono anche i nostri giovani?» si interroga la saggista Maria Martello, autrice del libro Il senso della mediazione dei conflitti. Tra diritto, filosofia e teologia (Giappichelli). «Si parla di una società dove gli adolescenti sono disorientati, mancano di impegno sociale, non hanno ambizioni. Come possiamo fare per aiutarli, per promuovere in loro un atteggiamento propositivo e progettuale? Il docufilm di Segatori mi sembra un modo molto efficace, più di mille parole, perché mostra quanta pienezza c’è in una vita spesa con coraggio e determinazione. Quale testimonianza più eloquente di quella di padre Dall’Oglio può innescare il risveglio? Segatori non ne ha santificato la figura, anzi la presentazione realistica dell’uomo, con il suo percorso e anche le sue contraddizioni, lo rende ancora più accessibile come modello ai giovani, che lo possono prendere come fonte di possibile ispirazione. Padre Dall’Oglio ha trovato il senso della propria vita nel donarsi agli altri. Il docufilm parla agli adolescenti e gli lancia un messaggio importante: chi vive con passione, esprimendo i propri talenti, il proprio modo di essere, nonostante i limiti che ciascuno di noi ha, realizza in pienezza se stesso, facendo felici gli altri. Il modello di padre Dall’Oglio è accessibile, imitabile, desiderabile».

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Conclude Martello: «In una società competitiva come la nostra, che porta alla vittoria dell’uno sull’altro, è necessario valorizzare lo stile emulativo, guardare con ammirazione il bello e il buono che l’altro rappresenta e cercare di farlo proprio. I giovani che costruiscono insieme a padre Dall’Oglio Mar Musa non stanno semplicemente lavorando: quel posare pietre insieme è un costruire ponti, creare condivisione, alleanze, accoglienza. Padre Dall’Oglio non li usava al posto degli operai, ma dava a questa costruzione, a questo loro impegno, un significato più alto. Lì era già iniziato il dialogo».





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