Oxman, le scarpe create dai batteri: al termine della loro vita ritornano in natura

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Scarpe stampate in 3d, 100% biodegradabili e prodotte dai batteri. Il futuro della moda sostenibile ideato dall’azienda Oxman. 

Ogni anno vengono prodotte più di 24 miliardi di paia di scarpe. Il 90% finisce nelle discariche. Questo perché una grossa fetta delle sneakers presenti sul mercato è realizzata prevalentemente con fibre e materiali plastici, diversi anche tra loro (poliestere, poliuretano termoplastico, polietilene tereftalato ecc.), cuciti o incollati, rendendone così difficile il riciclo.

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Come rendere l’industria calzaturiera più sostenibile? Con l’innovazione. Il laboratorio di design OXMAN, guidato dalla designer Neri Oxman, ha unito stampa 3D, biomateriali e robotica per creare tessuti e calzature biodegradabili, realizzati interamente con un unico materiale organico, senza l’uso di colle o petrolchimici. Il risultato? Una scarpa 100% biodegradabile, a basso impatto ambientale, realizzata con un materiale organico, i poliidrossialcanoati (PHA), che si decompongono completamente nel suolo, senza lasciare microplastiche. Si tratta di scarpe che utilizzano come materia prima un tipo di poliestere prodotto dai batteri.

L’alternativa PHA per combattere l’impatto ambientale

Le calzature tradizionali, realizzate con oltre 40 materiali differenti e numerosi additivi chimici, includono anche coloranti derivati da petrolchimici che rilasciano sostanze nocive. I PHA sono, invece, biologicamente riciclabili e vengono prodotti da batteri che assorbono carbonio dall’ambiente. Dopo l’uso possono ritornare agli stessi batteri che le hanno generate.

Abbiamo sfruttato il potenziale dei PHA con la piattaforma O°, progettando e realizzando prodotti che riducono l’impatto ambientale e che, al termine della loro vita, restituiscono qualcosa alla natura”, afferma la designer Neri Oxman.

Oxman utilizza un sistema robotico compatto per stampare PHA su una base tessile lavorata a maglia in 3D, eliminando la necessità di tagli, cuciture e adesivi tipici delle scarpe tradizionali. L’obiettivo del progetto è creare un processo circolare dove i prodotti, una volta degradati, possano essere riassorbiti dalla natura e contribuire a nutrire il suolo, con una produzione locale a basso costo, riducendo così l’impatto delle catene di fornitura globali. Da questa tecnologia si possono creare anche abbigliamento e tessuti, non solo scarpe.

Pioniera di concetti come la biomimesi, Neri Oxman già nel 2010 aveva fondato The Mediated Matter Group presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, dove ha dato il via alla branca disciplinare Material Ecology, fondendo tecnologia e biologia per immaginare il design in linea con i principi della sostenibilità.

 

Il lato oscuro delle sneakers

La produzione di sneakers pesa per l’1,4 per cento sulle emissioni globali di gas serra. Uno studio condotto dal MIT nel 2013 ha rilevato infatti che un paio di scarpe da corsa standard genera circa 13,6 chilogrammi di emissioni di CO₂.

Tansy Hoskins, giornalista e scrittrice, nel suo libro “Foot work: what your shoes are doing to the world” spiega come il mondo della calzatura, in fatto di sostenibilità, sia dieci anni indietro rispetto a quello della moda. Hoskins si concentra soprattutto sull’aspetto che riguarda alle condizioni dei lavoratori del settore, spesso drammatiche.

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In questo caso l’autrice prende un oggetto della vita di tutti i giorni, un paio di scarpe, come chiave interpretativa per spiegare come funziona il nostro mondo globalizzato, tecnologico, inquinante, in rapida e costante trasformazione.

Nel suo ultimo libro “The anti-capitalist book of fashion“ – Il libro della moda anticapitalista, tradotto in italiano da Il Saggiatore”, mette in luce le verità nascoste nei nostri vestiti, compresi quelli comunemente definiti “firmati”. Il libro supera l’idea della responsabilità del singolo: è il sistema che va rimodellato. Viviamo in un mondo che ci invoglia a consumare di più, manipolandoci, mentre i lavoratori del settore dell’abbigliamento hanno salari al limite della povertà e rischiano la vita.

Rendere circolare l’industria delle calzature ancora in ritardo rispetto ad altri settori della moda è fondamentale. “Closing the footwear loop”, è un’iniziativa di Fashion for Good che riunisce 14 marchi attivi nel settore moda e delle calzature. 

L’industria calzaturiera si trova a un punto di svolta cruciale. Con miliardi di scarpe prodotte ogni anno e il 90% finisce in discarica, Closing the Footwear Loop rappresenta il nostro sforzo più ambizioso per reimmaginare il modo in cui progettiamo, usiamo e smaltiamo le scarpe. Riunendo 14 marchi leader, non stiamo solo affrontando una sfida, stiamo creando un progetto per un cambiamento sistemico”, ha detto Katrin Ley, direttore generale di Fashion for Good.

Tra i marchi che hanno aderito all’iniziativa “Closing footwear loop” figurano Dr. Martens, Inditex, Zalando e persino Adidas. I grandi brand di scarpe coinvolti affronteranno davvero il problema degli sprechi legati all’industria delle calzature o sarà ancora una volta un modo per sembrare apparentemente più green? Staremo a vedere.

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