Trump o l’Ue? Meloni deve scegliere

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Asse tra Parigi, Berlino e Varsavia: Meloni allineata ma scettica, Meloni deve scegliere fra Trump o l’Ue. Il ruolo del governo Italiano


Giorgia Meloni arriva all’Eliseo con una certezza – in meno di un mese il “suo” progetto di essere il “ponte” tra Washington e Bruxelles si è frantumato – e due dati oggettivi: la Casa Bianca è il giocatore di punta del nuovo ordine mondiale ma non può essere un partner; l’asse a tre Parigi, Berlino, Varsavia è ancora dominante rispetto all’Europa e anche alla Nato. Sono considerazioni che la premier ha fatto nelle cento ore che la scorsa settimana hanno sconvolto l’Europa: da quando Trump ha annunciato che il povero “Putin vuole chiudere la guerra”; da quando J.D Vance ha scambiato la conferenza di Monaco per un saloon e mani sulla fondina ha detto che “c’è un nuovo sceriffo in città” cioè Trump; da quando l’inviato della Casa Bianca per l’Ucraina, Keith Kellogh ha annunciato che gli europei non saranno parte dei negoziati che iniziano domani.

Una premier ridimensionata, secondo le opposizioni. Più giusto dire una premier costretta suo malgrado a riparametrare in fretta alcune ambizioni e che arriva un po’ in ritardo a Parigi perché “l’agenda era già impegnata con l’incontro con prefetti e questori”. Della serie che l’invito dell’Eliseo è imprescindibile ma non così fondamentale.

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Come che sia, l’Italia è a pieno titolo nella cabina di regia di questa nuova fase che ha visto ieri a Parigi il primo vertice informale di una Europa in formato ristretto rispetto ai 27 e pronta a prendere in mano lo scettro di una Nato dove gli Stati Uniti non sono più il king maker. La lista degli invitati all’Eliseo dice tutto: Germania, Italia, Spagna, Polonia, Paesi Bassi e Danimarca in rappresentanza dei paesi nordici e dei paesi baltici, Regno Unito (che non è Europa), il presidente del Consigli europeo Antonio Costa, la presidente Ursula von der Leyen e il segretario generale della Nato Mark Rutte.

E’ un format d’emergenza, dopo lo spariglio della scorsa settimana. Si tratta degli otto paesi che hanno più capacità militari e uomini e donne in uniforme da impegnare a favore dell’Ucraina. Un format che non piace a Meloni perché la mette “in minoranza” rispetto ai leader delle destre, Conservatori e Patrioti, di cui si sente in qualche modo leader e portavoce. Non c’è l’Ungheria di Orban, per intendersi, nè la Repubblica Ceca di Fico, nè l’Austria sempre più insidiata dalla destra antieuropeista, putiniana e complottasti di Herbert Kikl. Prima di volare a Parigi, nella conferenza con i prefetti e i questori, la premier aveva invocato “una risposta a 27 al tavolo di trattative per la fine del conflitto in Ucraina”.

Una critica implicita alla mossa di Macron che invece presuppone un’Europa a due velocità, con un nucleo originario fortemente europeista e convinto che questa è l’ultima chiamata per un’Europa sovrana almeno nella difesa e nella politica estera.
Meloni è a Parigi ma non si fida. Da giorni i giornali di destra suggeriscono che alla fine Francia e Germania faranno come sempre, cioè gli affari propri con la Casa Bianca e che quindi fa bene Giorgia Meloni a coltivare rapporti bilaterali sperando in qualche sconto nella partita dei dazi. Ma questa volta non è come le altre.
L’Europa non si spacca a Parigi. Anzi.

“La nostra sicurezza è ad una svolta, non riguarda solo l’Ucraina ma riguarda noi” ha detto von der Leyen che porterà le spese militari di ogni stato fuori dalle regole del Patto di stabilità. “Abbiamo bisogno di un senso di urgenza. E abbiamo bisogno di un aumento della nostra difesa. Adesso”.
Il vertice all’Eliseo, al di là del risultato concreto (alle 20 era ancora in corso), è “un punto di partenza importante. Un segnale che andava dato” sottolinea il portavoce della Commissione. Spiazzata da Macron, Bruxelles e Nato, Meloni cerca di tenere il punto sull’immigrazione. Oggi incontrerà a palazzo Chigi l’austriaco Magnus Brunner, il commissario Ue all’immigrazione e all’asilo.

Ieri mattina nella conferenza con questori e prefetti la premier ha tenuto il punto sull’Albania e ha inviato tre warning a Bruxelles: “E’ urgente una revisione della direttiva sui rimpatri”; urgente “anticipare l’entrata in vigore del nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo (che prevede la nascita di hub per i rimpatri esterni alle Ue, come dovrebbero diventare i due centri albanesi, ndr)”; urgente che “la Corte di giustizia (verdetto atteso il 25, ndr) eviti di compromettere le politiche di rimpatrio dei vari paesi”. L’immigrazione resta il suo cavallo di battaglia, in questo momento l’unico. “Stiamo vincendo la guerra ai trafficanti” ha detto la premier. E pazienza se il governo ha prima arrestato e poi liberato Almasri che di quel racket è uno dei capi. Con la divisa.

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