Anna Zafesova ricostruisce la vicenda politica di Aleksej Naval’nyj, morto un anno fa – il 16 febbraio 2024 – nella colonia penale russa oltre il circolo polare artico, nei pressi del villaggio di Karp
Gentile Anna, può brevemente ripercorrere la biografia politica di Aleksej Naval’nyj?
Naval’nyj nasce, in senso politico, negli anni duemila, quale militante del partito russo liberale Yabloko. A seguito di contrasti, lo lascia per intraprendere un percorso del tutto personale e originale, divenendo un blogger della politica – ossia di una politica fatta soprattutto online – il cui tema forte diviene la denuncia della corruzione del sistema. Con l’aiuto di un avvocato, dà corso a una serie di indagini e di denunce, molto ben documentate e pungenti, che lo rendono noto in Russia e non solo.
Nel dicembre del 2011, in occasione delle elezioni della Duma (Camera) della Federazione Russa e dei brogli che ne sono seguiti, definisce Russia Unita – il partito di Putin – «partito di cialtroni»: ne nascono proteste di piazza di cui diviene il leader più popolare.
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Da allora, assume un profilo, sempre meglio delineato, quale serio avversario del potere, allargando il campo del confronto critico ai temi dei diritti individuali e sociali in Russia. Ciò gli procura una serie di arresti e di condanne a vario titolo, sino al tentativo di avvelenamento perpetrato a suo danno nell’agosto del 2020, a cui sopravvive grazie al trasferimento e alle cure prestate in Germania.
Invece di rimanere in Europa, come sappiamo, torna in Russia nel gennaio 2021, consapevole di essere arrestato, come puntualmente accaduto. Subisce condanne e trattamenti carcerari sempre più pesanti sino alla morte procurata in circostanze mai chiarite nella colonia penale del circolo polare, il 16 febbraio 2024.
Naval’nyj ha mai partecipato ad elezioni russe?
Non è mai stato candidato alla Duma, ma ha partecipato, nel 2013, alle elezioni del Sindaco di Mosca. Il suo obiettivo politico allora era ricavare spazi negli ambiti che il regime di Putin ancora concedeva, per cercare di trasformare tali ambiti in maniera del tutto legale.
In quelle elezioni ottiene, ufficialmente, il 27% dei voti, il che vuol dire, in realtà, molto di più. Al ballottaggio avrebbe potuto competere col solito Sobjanin; ma, da allora, la stretta delle condanne lo ha allontanato definitivamente dalle urne.
Ha provato a candidarsi alle presidenziali del 2018, ma la facoltà gli è stata negata. Stava sostenendo i suoi candidati nelle elezioni locali del 2020, in Siberia, quando è stato avvelenato. La sua idea, in quella campagna elettorale, era allargare le basi della protesta, specie nelle grandi città, spostando voti a sfavore di RussiaUnita. La tecnica stava dando risultati, pertanto è stato avvelenato a Tomsk.
Un dissidente originale
A chi o a cosa si ispirava la sua azione politica?
Conosceva bene le figure dei dissidenti che hanno sfidato i regimi autoritari “da soli”. Ma la sua figura si staglia come originale dissidente, piuttosto che leader politico sistematico, anche se non era affatto privo di strategia politica. Certamente è un figlio della storia, della fine della Unione Sovietica e della ricerca di qualcosa di nuovo in Russia. Senz’altro non ha rimpianto quel passato. Il suo pensiero era decisamente antitotalitario. Si può definire un liberale che ha preso a modello le democrazie occidentali, in particolare quella americana che conosceva bene per aver studiato negli Stati Uniti negli anni Novanta. Si rendeva ben conto, tuttavia, della complessità e della difficoltà della transizione russa. Ha vissuto anche significative oscillazioni di posizione politica.
Quali contraddizioni ha manifestato il suo percorso politico?
Ricordiamo le sue affermazioni pesantemente nazionaliste, contro gli immigrati o a favore della aggressione russa della Georgia: affermazioni di cui, in seguito, si è ripetutamente e, secondo me, sinceramente scusato. Spiego queste contraddizioni col fatto che, per perseguire il proposito di scalzare Putin dal potere, ha cercato alleanze tra i nazionalisti e tra i comunisti.
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Il suo pensiero si è evoluto ed emancipato nel tempo: non ho comunque dubbi che pensasse la sua Russia come un Paese europeo, cioè un Paese caratterizzato da libere elezioni, tribunali indipendenti, pari diritti per le minoranze, libertà dei media, ecc.
Quale uso politico ha fatto della rete internet?
Naval’nyj nasce come politico dell’era internet. Il suo percorso – dall’online all’offline e ritorno – è molto originale e interessante. Per Naval’nyj la politica può essere oggi giocata tra la rete e la realtà, in un continuo scambio. In tal senso ha messo a punto nuove tecniche per combattere l’autoritarismo con la libertà di espressione propria della rete.
Così ha mostrato tutte le potenzialità – ma anche tutti i limiti – di un’azione politica svolta in rete: milioni di “like” non si risolvono istantaneamente in milioni di voti e tanto meno in milioni di persone determinate a scendere in piazza a protestare con coraggio. Come visto.
Perché è tornato in Russia dalla Germania nel 2021?
Perché la natura dell’uomo Naval’nyj era autenticamente politica, e solo in Russia, nel suo Paese, poteva esprimersi. Avrebbe potuto rimanere in Germania, fare il dissidente, partecipare ai dibattiti, ricevere premi, fare il blogger… ma ciò non era nelle sue corde. Osservo perciò un profondo senso di testimonianza umana, personale, unica, nella vicenda politica di Aleksej Naval’nyj, sino a poter usare il termine “martirio”: la sua è stata una testimonianza politica coerente, sino alla morte. Ricordo la sua frase-simbolo: «io non ho avuto paura, non abbiatene neanche voi».
Naval’nyj si aspettava una reazione del popolo al suo ritorno?
Può darsi che dentro la decisione “morale” di tornare ci fosse un calcolo, rivelatosi in buona misura sbagliato. Poteva ipotizzare, come avvenuto nel 2013, a Mosca, dopo la sua condanna a cinque anni per truffa, quando nelle piazze si erano riversate migliaia di persone e la sua carcerazione venne convertita in arresti domiciliari, che al suo ritorno le piazze si sarebbero riempite di nuovo.
I suoi propositi erano totalmente disarmati, assolutamente non violenti, quindi completamenti esposti all’esercizio della forza del regime. Lui contava sull’innesco di un processo virtuoso di protesta e di democratizzazione del sistema, di fronte al quale, anche il Cremlino, con tutta la sua forza, avrebbe dovuto ritrarsi, quanto meno per non “perdere la faccia” in Europa. Ma così non è stato.
Sulla guerra
La vicenda Naval’nyj rappresenta, secondo lei, un punto di non ritorno della politica autoritaria di Putin?
La volontà di distruzione del movimento di Naval’nyj nel 2021 segna, secondo me, veramente il passaggio dall’autoritarismo alla dittatura. Quando avviene l’aggressione dell’Ucraina, nel febbraio del 2022, quel passaggio è già maturo. La guerra lo conferma, con quel che ne segue sino ad oggi.
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Di quali testi disponiamo?
Abbiamo a disposizione la sua autobiografia – Patriot, in edizione italiana – scritta prima dell’ultima carcerazione, e quindi la raccolta Io non ho paura, non abbiatene neanche voi – da me recensita – contenente scritti e verbali precedenti all’ultimo arresto, dal 2010 in poi, sino al 14 febbraio 2024.
Stupisce che abbia potuto far uscire suoi testi dal carcere sino a due giorni dalla morte…
I post pubblicati dal carcere sono arrivati attraverso i suoi avvocati. Ma nei tre anni finali di carcerazione gli è stato progressivamente ridotto l’accesso agli stessi avvocati. Poteva incontrali solo attraverso un vetro smerigliato in modo che non potesse vederli direttamente, né, tanto meno, mostrare loro testi e documenti.
È bene a sapersi che un paio di settimane fa questi avvocati, dopo essere stati arrestati, sono stati condannati a cinque anni di carcerazione per complicità con “organizzazione estremista”: quella di Naval’nyj, appunto. Questo dimostra che la libera avvocatura in Russia non esiste più.
Qual è stata la posizione di Naval’nyj sull’Ucraina?
Naval’nyj ha sostenuto “piazza Maidan”, cioè la rivoluzione popolare ucraina, sin dai suoi esordi: la rivolta di piazza contro il potere dispotico e corrotto era precisamente quel che cercava: avrebbe voluto che anche Russia avvenisse la stessa cosa.
Ma il sostegno al Maidan ucraino, nel 2014, gli è costato la perdita di circa 600.000 follower russi, che, evidentemente, non condividevano il desiderio degli ucraini di allontanarsi da Mosca per avvicinarsi all’Europa. Naval’nyj non ha mai, tuttavia, cambiato idea: quando la guerra di aggressione è scoppiata, lui, dal carcere, ha invitato i suoi sostenitori a manifestare contro la guerra, definendola una guerra imperialista, criminale, a cui porre fine assolutamente.
Sulla guerra come si è mosso poi il movimento di Naval’nyj?
Esponenti del movimento hanno proposto di abbandonare i metodi non violenti per attaccare gli uffici di arruolamento e i commissariati militari con le molotov. A quel punto il movimento si è diviso perché queste azioni non erano previste nelle sottoscrizioni, né condivise dai più che non volevano correre rischi.
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Di fatto, la politica online ha mostrato, specie in quel frangente, tutta la sua fragilità: l’adesione non si è trasformata in azione politica contro la guerra. Solo 3.000-4.000 persone hanno manifestato a Mosca, una città di più di venti milioni di abitanti, contro la guerra in Ucraina dopo l’aggressione del 24 febbraio 2022: davvero molto poche.
Una fede discreta
Cosa sa e cosa pensa della conversione religiosa di Naval’nyj?
La sua conversione non è stata condivisa dai suoi: nella stessa fascia anagrafica, sociale e culturale era e resta una “mosca bianca”; dichiararsi ortodosso praticante è davvero qualcosa di originale e stravagante per molti altri. Sappiamo, infatti, che la chiesa ortodossa russa è – ed è considerata – una sorta di chiesa di regime, braccio destro della propaganda putiniana. Tendenzialmente ogni dissidente russo è un anticlericale.
Invece Naval’nyj legge i Vangeli, ne cita passi nei tribunali: non lo faceva per “cultura” ma per convinzione morale. Per il cristianesimo, o per Cristo, ha mostrato di subire un grande fascino, senza timore a dirlo, benché in ciò non fosse sostenuto e non avesse rapporti con una chiesa totalmente allineata col regime. A differenza dei politici russi, Putin in primis, che vanno alle celebrazioni e si fanno fotografare con i ceri in mano, o mentre baciano le icone, Naval’nyj praticava la sua religiosità in maniera molto discreta.
Cosa è successo ai suoi funerali?
Il pope che ha celebrato i suoi funerali, il 1° marzo dell’anno scorso, ha dovuto seguire un rito abbreviato. In seguito, è andato a celebrare riti di suffragio sulla tomba, ma deve essersi spinto troppo oltre, perché mi risulta che sia stato sospeso. Ai funerali, le autorità russe hanno avuto l’accortezza di non arrestare nessuno, benché si siano premurate di riprendere e “schedare” circa 30.000 partecipanti, perché temevano che il cordoglio potesse trasformarsi in manifestazione politica.
Il cimitero Borisov di Mosca è divenuto il luogo di ritrovo di un gruppo di fedeli. Ci sono sempre fiori, lettere, biglietti sulla sua tomba. Alcuni amici, giornalisti e attivisti, molto assidui, sono stati arrestati. Ciò nonostante, non si può dire che il suo movimento abbia oggi un forte seguito in Russia. Il “culto” che viene prestato oggi a Naval’nyj mi appare del tutto commemorativo, come si riserva ai grandi del passato, senza che ne consegua alcuna azione politica concreta.
Quali iniziative sono dedicate, in questo giorno della morte, a Naval’nyj?
Al di fuori della Russia, ci sono oggi e ci saranno sino al 1° marzo, tante iniziative di commemorazione: anche a Milano e in altre città italiane. Penso si tratti, appunto, di “commemorazioni” che consegnano la sua figura esemplare alla storia, ma senza seguito: anzi mi sembra si stia procedendo a una sorta di “archiviazione”.
Il suo movimento, dentro e fuori dalla Russia, appare ridotto a poche persone, che peraltro stanno litigando tra loro sui social. Un primo tentativo della vedova, Yulia, di riunire i russi a Berlino, ha prodotto l’aggregazione di poche centinaia di persone. Si riproverà il 1° marzo, ma difficilmente potrà andare molto meglio, stante, quantomeno, le difficoltà dei russi di entrare in Europa e di andare a Berlino.
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Cosa si possa fare per alimentare la memoria di Naval’nyj e il suo movimento non lo so. Quel che è certo è che in Russia le manifestazioni di opposizione sono sempre più rare e gli obiettivi per cui Aleksej Naval’nyj ha speso la sua vita sono sempre più lontani.