Cesena 2005, questo è un club per giovani. Coach Guidi racconta i suoi anni nel vivaio

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Fai di tutto per vincere, o fai di tutto per migliorare. Partendo dal fatto che la seconda rende molto più facile la prima e che migliorare è una di quelle cose che non si dovrebbe mai smettere di fare, la questione si sposta su quale sia il momento più giusto per iniziare. Da bambini, di certo. Tu, un pallone da basket e un canestro. Con a fianco l’istruttore.

Gabriele Guidi è uno dei coach del settore giovanile della Cesena Basket 2005, cresciuto a pane e pallacanestro e che continua a trasmettere la passione per il gioco a sempre nuove generazioni di sportivi. Restando ancorato al vivaio.

Guidi, una vita in mezzo a ragazzi e ragazzini. Qual è il bello?

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“Tutto, a partire dal fatto che trascorrere le giornate tra i giovani contribuisce a mantenerti giovane. E col sorriso dico che già con questo sarei più che a posto…”.

Però…

“Però il vero valore aggiunto dal mio punto di vista è quello di accompagnare gli atleti nel loro percorso di crescita. In campo e fuori. Non sto parlando di due entità diverse, perché quello che si impara in palestra serve tanto anche nella vita di tutti i giorni, dove le lezioni rimediate cadendo sul parquet aiutano a superare i problemi e i momenti difficili che fanno parte di tutto quello che c’è là fuori”.

I ragazzi del ventunesimo secolo sono ancora capaci di ascoltare?

“Il rispetto reciproco è il prerequisito essenziale. Se manca quello, arrivederci e grazie. La tua quota di iscrizione non ci interessa. Però sì, la capacità e soprattutto la voglia di rimboccarsi le maniche e mettersi alla prova non mancano. Soprattutto nel fare quello che si ama. E, perdonatemi, come fai a non amare la pallacanestro?”.

Perché il settore giovanile e non le prime squadre?

“Sono due mondi ovviamente comunicanti, perché dove finisce il primo, inizia il secondo. Ma sono anche radicalmente diversi”.

In che modo?

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“Il principale compito del tecnico della prima squadra è quello di mettere in campo i giocatori nel modo migliore per aiutarli a vincere le partite. Nel settore giovanile la priorità è far migliorare gli atleti, insegnando, partendo dai fondamentale e aggiungendo sempre qualcosa. La soddisfazione di vedere un ragazzo crescere anno dopo anno, cambiando e maturando a 360 gradi non si paga con niente”.

Quando ha preso in mano il primo pallone?

“Avevo 8 o 9 anni. Mio cugino giocava, andai anche io. E mi accorsi subito di essere nel posto giusto. Sono cresciuto in palestra e a 16 anni ho aggiunto la mia prima esperienza di allenatore di minibasket. A 18 anni ho sostenuto il corso per prendere la tessera di tecnico e poi non mi sono più fermato”.

Il suo primo gruppo?

“Sono forlivese. I nati nel 1980-81 del Ca’Ossi”.

E’ passato tanto tempo.

“Ma non dimentico. E nemmeno i miei ex atleti, credo. Con molti siamo rimasti legati. Mi emoziono nel vedere dei gruppi che ho accompagnato nel loro percorso nel settore giovanile che sono rimasti amici, amici veri. Tanto da continuare a frequentarsi anche oggi, da adulti, magari formando squadre che si iscrivono ai campionati minori. E’ la parte più bella di quello che lo sport sa creare. Serve aggiungere altro sul perché preferisco le giovanili?”.

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Quando è arrivato a Cesena?

“Nel 2007. Allenai Montaguti. E poi anche Rossi: ora giocano in prima squadra dopo aver calcato tanti altri campi. Non solo loro, ovviamente. Cito per esempio Matteo Frassineti, che ha avuto una carriera importante anche in serie A, passando pure dai Tigers Cesena. Mi fa piacere poter pensare di aver contribuito alla crescita di chi ho allenato, ma i risultati che ottengo non li misuro con questo metro”.

Cosa viene prima?

“Quello che si insegna ogni giorno in palestra. Il rispetto delle regole, dei compagni, degli avversari. Il saper fare gruppo”.

La ricetta?

“Trascorrere momenti di qualità insieme. Momenti che man mano che cresci segnano la tua strada. E’ il principale motivo per il quale la Cesena Basket da sempre partecipa a tornei che durano diversi giorni, in Italia e all’estero. Andiamo per vincere, ovviamente. Ma in mezzo ci sono mille altre cose. I risultati sul tabellone poi magari finisce che te li dimentichi. Il resto no”.

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Che altro?

“Il campetto. Una lingua di cemento dove ci si incontra in estate come in inverno. Si conoscono i ragazzi più grandi, si impara a crescere in fretta e a irrobustire la pelle, tenendo la testa alta. Il campetto è dove il basket ti conquista sul serio. E’ bello che il Palaippo sia un punto di ritrovo prima e dopo le partite”. Lo sport non è solo fine a se stesso.

“E’ sempre stato così, ma forse ora vale maggiormente. Certi punti di riferimento aggregativi non ci sono più, il mondo è cambiato, così come le aspettative delle famiglie. Le nostre risposte partono dal garantire un ambiente sano, nel quale crescere coltivando entusiasmo e mettendo in conto di dover fare sacrifici. Se è troppo facile, ti diverti meno. E hai meno stimoli a migliorare. Siamo qui per questo, dando a tutti la possibilità di allenarsi, di giocare e di crescere. Di divertirsi, soprattutto”.



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