Non solo Da Vittorio-Louis Vuitton, ecco i ristoranti dell’alta moda in Italia

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La nuova intesa tra la famiglia Cerea – al timone del ristorante tristellato di Da Vittorio a Brusaporto (Bg) – e Louis Vuitton, con a capo il miliardario francese Bernard Arnault, pronta a sbarcare in via Monte Napoleone con due nuovi locali, mette sotto i riflettori un fenomeno ormai diffuso: i grandi marchi della moda non si accontentano più di vestire le persone, ma cercano di proporre esperienze complete. E il cibo, si sa, è un campo delicato e affascinante.

Bobo, Francesco, Bruna, Chicco e Rossella Cerea

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Ecco perché vedere chef stellati lavorare insieme a brand di abbigliamento non stupisce più di tanto. È come se questi mondi, diversi in apparenza, parlassero la stessa lingua del bello e del gusto, pur con sfumature differenti.

Alta moda e cucina: Milano capitale

E a Milano questa tendenza è evidente da tempo: dalle proposte di Emporio Armani Caffè & Ristorante, firmate dallo chef Ferdinando Palomba, e di Nobu con Nobu Matsuhisa, passando per la terrazza con piscina di Ceresio 7, seguita dallo chef Elio Sironi e gestita (anche) da Dsquared2. Non mancano, poi, il tocco di Ralph Lauren con il The Bar dello chef Tommaso Micoli, la classe di Bulgari insieme al lavoro di Niko Romito, la formula più disinvolta di Tommy’s Café aperta da Tommy Hilfiger, il doppio progetto di Prada, che affianca la storica Pasticceria Marchesi al Ristorante Torre, dove opera Lorenzo Lunghi, e il DG Martini di Dolce&Gabbana. A questi, poi, si aggiungerà presto – oltre a LV – anche il nuovo ristorante di Langosteria a Palazzo Fendi.

Ma il fenomeno non si limita alla città menghina: Gucci ha infatti affidato a Massimo Bottura la Gucci Osteria a Firenze, mentre Ferragamo ha puntato sull’Osteria del Borro di San Giustino Valdarno (Ar) e su Il Borro Tuscan Bistro di Firenze, dove si muove lo chef Andrea Campani. E poi, per concludere, il Diesel Farm di Renzo Rosso (Diesel) a Marostica (Vi), con in cucina Gabriele Faggionato, e il Rhinoceros di Roma, guidato dallo chef Giuseppe Di Iorio, all’interno della Fondazione Alda Fendi.

Alta moda e cucina si uniscono anche all’estero

Non mancano poi esempi significativi nemmeno all’estero, con la Francia – naturalmente – in prima linea: Dior, per esempio, ha scelto Jean Imbert per esaltare l’identità del marchio con al ristorante “Monsieur”, mentre Yves Saint Laurent ha puntato sull’essenzialità di Sushi Park. Chanel, invece, ha trovato il suo equilibrio tra eleganza francese e influenze giapponesi con il “Beige” di Alain Ducasse a Tokyo. Anche Macao si è inserita in questo scenario con The Karl Lagerfeld, affidato alla creatività di José Avillez. Progetti diversi, ma tutti accomunati dall’idea di trasformare il cibo in un palcoscenico perfetto per esaltare l’essenza delle maison.

L’unione tra alta moda e cucina non è un successo garantito

Non tutti questi esperimenti, però, ricordiamo, hanno avuto la fortuna sperata. Alcuni ristoranti aperti da grandi case di moda hanno di fatto dovuto chiudere i battenti, come, ad esempio, il Ristorante Trussardi in piazza della Scala e il famoso Gold di Dolce & Gabbana.

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Il binomio alta moda e cucina non sempre è sinonimo di successo

Le ragioni? L’investimento iniziale è stato enorme e, soprattutto, l’aspettativa dei clienti era altissima. Alla fine, il nome del brand non è bastato a coprire i costi e a rendere sostenibile l’intera operazione. È quindi la dimostrazione che la ristorazione non perdona approssimazioni: servono idee chiare, una gestione attenta e chef che sappiano lasciare il segno.

Da Vittorio fa da apripista per prospettive più grandi?

Insomma, ora, con Da Vittorio pronto a firmare i nuovi spazi di Louis Vuitton, non è escluso che si aprano prospettive ancora più grandi, magari con nuove collaborazioni o addirittura una possibile quotazione in Borsa per la famiglia Cerea, come alcuni già ipotizzano. Di certo, vedere l’alta cucina affiancarsi a linee di moda tanto prestigiose aggiunge un tocco di fascino a entrambi i mondi.

Siad                                                                                                                                                   

Non rimane che attendere l’apertura dei nuovi ristoranti e vedere se le aspettative, come al solito molto alte, verranno soddisfatte. Perché alla fine, che si tratti di un capo d’abbigliamento o di un piatto da gourmet, la vera sfida resta sempre la stessa: conquistare chi osserva (o assaggia) con un’esperienza che lasci il segno.





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