La Germania si prepara al voto di domenica con una fragile certezza: forse anche questa volta la destra estrema di Afd resterà fuori dalle stanze del potere. Ma di fragile certezza ce n’è anche un’altra: se non sarà per questa volta, sarà per la prossima, l’appuntamento è solo rimandato. Una democrazia in cui un intero blocco sociale, i lavoratori, sceglie tra due alternative, l’astensionismo oppure la destra radicale, è una democrazia senza futuro. A meno che le cose non cambino. La fotografia è questa: a livello nazionale il voto degli operai per l’Afd oscilla, nei sondaggi, tra il 30 e il 40%. Una tendenza che si è già manifestata alle scorse elezioni europee. Uno studio della Fondazione Konrad Adenauer rileva che in Turingia il 42% delle tute blu iscritte al sindacato ha votato Afd.
Il fenomeno del voto a destra nel mondo del lavoro, e l’indebolimento dell’argine e della rappresentanza sindacale, è da tempo sotto osservazione da parte di istituti di ricerca e opinione pubblica. La soluzione stenta ad arrivare. E certo la profonda crisi economica e industriale del “sistema Germania”, con conseguente debolezza delle forze politiche e sociali tradizionali, non aiuta. Con Alessandro Ricci, giornalista freelance di stanza a Berlino e collaboratore di SkyTG24, proviamo a fare il punto sulla campagna che si conclude in queste ore.
L’economia è stata al centro della campagna elettorale?
La campagna elettorale si è concentrata maggiormente sull’immigrazione. Ma si è parlato anche di economia. L’argomento principale dibattuto è stato il freno al debito: principio inscritto nella Costituzione tedesca e che impedisce di fare, in sostanza, investimenti. Il dibattito si è spaccato tra chi vorrebbe sospendere il freno e chi invece vuole mantenerlo. Ripeto: si è parlato veramente poco di economia. Ma i due principali sfidanti lo hanno fatto. Friedrich Merz, candidato dei cristiano democratici Cdu/Csu, promette sgravi fiscali e detassazione. Un programma appunto non finanziabile senza togliere il freno al debito. Il cancelliere socialdemocratico uscente, Olaf Scholz, ha puntato sul “sistema Germania”, e quindi sgravi fiscali alle aziende, ma anche aumento del salario minimo a 15 euro. Insomma ha difeso le politiche sociali, compreso il Bürgergeld, una sorta di reddito di cittadinanza.
I tedeschi hanno paura di impoverirsi?
C’è una fortissima paura di impoverimento. L’inflazione ha picchiato duro in questi anni, nelle vendite al dettaglio i prezzi sono aumentati di circa il 40%. E i licenziamenti non si fermano. Non solo nelle grandi aziende. Anche le piccole imprese cominciano a chiudere. Il 2024 ha segnato il record di aziende fallite in Germania.
Molti lavoratori voltano le spalle alla rappresentanza tradizionale, politica e sociale. È un segnale che la cogestione come modello di governo è in crisi?
Penso di no, sinceramente. I lavoratori con la cogestione riescono ancora a ottenere condizioni migliori. Il problema è che la cogestione funziona quando c’è benessere, mentre in tempi di crisi funziona meno. Però assistiamo a fenomeni inquietanti di erosione del consenso sindacale. Zentrum, ad esempio, è un’associazione di estrema destra, troppo estrema persino per Afd, che poi comunque ci si è alleata. Ed è un’associazione para-sindacale, diciamo così, che ha iniziato a infiltrarsi nelle fabbriche della Ruhr strappando consensi ai sindacati tradizionali. Attaccano il sistema della cogestione, i consigli di fabbrica, e, vista la crisi e i licenziamenti, hanno gioco facile nell’additarli come complici di quella che loro definiscono “l’elite globalista” che saboterebbe il popolo tedesco.
Quanto la crisi economica, la recessione e le politiche di austerità hanno prestato il fianco all’ascesa dell’Afd?
È soprattutto la crisi dell’industria ad alimentare la crescita di consenso per l’estrema destra. Crisi che ha colpito non soltanto Wolfsburg e la Volkswagen, ma anche Porsche, che ipotizza circa mille licenziamenti, e Audi. Insomma tutto il settore auto. E il bacino produttivo della Ruhr, un tempo roccaforte della Spd. Non è un caso che Scholz abbia cominciato la campagna elettorale proprio a Wolfsburg. Ma, in base ai più recenti sondaggi, solo l’8% dei lavoratori si fida della Spd. E nei ceti operai predomina la tendenza all’astensionismo. Di fronte alla crisi industriale, l’operaio cede alla narrazione dell’Afd, che individua nelle politiche green la responsabilità della crisi. Ma la Germania eredita problemi seri anche dal passato.
Quali?
Durante la lunga stagione Merkel non si è investito nelle infrastrutture e nella digitalizzazione. Negli ultimi anni è mancata una politica che avesse una visione del futuro. Si stima che la Germania possa riprendersi nel giro di 10 anni e che servirebbero circa 600 miliardi di investimenti. Afd insiste su questo tema, accusa la “vecchia” politica di avere portato la Germania alla crisi attuale. E ha buon gioco nel farlo.
Stiamo parlando di arretratezza nelle infrastrutture tradizionali, ad esempio nei trasporti?
Stiamo parlando di ponti. Nel 2024 è caduto un ponte a Dresda, e ce ne sono molti altri per i quali manca la manutenzione, per non parlare dei disservizi nel sistema ferroviario, certamente. Anche sulla digitalizzazione la Germania è molto indietro. Sembra assurdo dirlo, ma qui si fa tutto con le lettere. La linea Internet veloce, la fibra ottica, non raggiunge nemmeno alcune zone del centro di Berlino. In quanto a digitalizzazione, la Germania è uno degli ultimi Paesi dell’area Ocse, e sta dietro anche all’Italia. Non è più il Paese all’avanguardia che eravamo abituati a conoscere e ammirare dieci o quindici anni fa.
L’invasione di campo di Musk e degli Stati Uniti nella campagna elettorale sta influenzando il voto?
Non molto. I tedeschi tendenzialmente non amano che qualcuno si insinui nella loro vita politica. L’ha confermato un sondaggio YouGov di fine gennaio: le uscite di Musk non sono apprezzate dall’elettorato tedesco, in particolare l’endorsement per Afd. Non credo che Musk sposterà molti voti.
Cosa si prevede? Una grande coalizione a guida Cdu per fermare l’ascesa dell’estrema destra?
La legge elettorale tedesca è molto particolare. Più partiti entrano al Bundestag, superando la soglia di sbarramento del 5%, più è difficile avere una coalizione bipartitica. In questo momento l’unica coalizione a due partiti possibile sarebbe tra Cdu/Csu e Afd, ma appunto sembra fuori discussione. Stando ai sondaggi, Spd e Centro non avrebbero la maggioranza, quindi dovrebbero coinvolgere i Verdi in una coalizione a tre, con tutti i rischi di litigiosità e ingovernabilità che abbiamo visto, e che hanno portato a queste elezioni anticipate.
La rinascita della Linke di Heidi Reichinnek sarà determinante? La sinistra potrebbe entrare in una coalizione?
Mi sembra veramente improbabile. Ma Reichinnek è stata molto brava a rilanciare il proprio partito attaccando Friedrich Merz, che ha votato in Parlamento insieme ad Afd. Si è innescato un grande movimento di piazza e nei sondaggi Linke ha iniziato a salire. Il messaggio sta funzionando: “Se c’è da fare antifascismo, i veri antifascisti qui siamo noi, ce l’abbiamo nel sangue”.
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