Un sabato di piazze contro il «Ddl paura»: «Fermiamo la destra»

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C’è un momento preciso che fa capire che la manifestazione annuale per Valerio Verbano, militante romano dei collettivi autonomi ucciso il 22 febbraio del 1980 da tre neofascisti davanti ai suoi genitori, non è soltanto un evento di commemorazione ma un vero e proprio passaggio di testimone. È quando i ragazzi e le ragazze degli studenti medi raggiungono in piazza tutti gli altri. Il loro corteo si mescola al presidio davanti alla lapide di Valerio. È a quel punto che le diverse generazioni si mettono insieme in cammino per le strade di Montesacro e del Tufello. È il momento in cui si rinnova una promessa che riguarda il futuro prossimo e si rilanciano le battaglie quotidiane.

PER QUESTO, ieri, migliaia di persone hanno manifestato per ricordare Valerio Verbano e per battersi contro il Ddl Sicurezza. Una giovane attivista dal camion in testa al corteo ha letto le parole scritte dalla compagna di Ramy Elgaml, il diciannovenne di origini egiziane morto tre mesi fa dopo un inseguimento e un tamponamento dei carabinieri al quartiere Corvetto di Milano. La battaglia per la verità per Ramy è diventata parte della lotta contro le misure emergenziali e securitarie che minacciano il diritto al dissenso e che criminalizzano i più poveri.

NELLO STESSO momento anche a Milano, la città di Ramy, migliaia di persone di differenti generazioni manifestavano contro il Ddl Sicurezza. Il lungo serpentone è partito da piazza 24 maggio verso piazza Lodi, scandendo slogan contro le «zone rosse» promosse dal Viminale per limitare i diritti e confinare ulteriormente il diritto alla città per chi vive in periferia o potrebbe essere considerato, con ampia discrezionalità, come minaccia al decoro. E si è scesi in strada anche a Bologna: da piazza XX Settembre il corteo contro il «Ddl paura» cui hanno partecipato migliaia di persone tra centri sociali, collettivi, sindacati e associazioni, si è diretto verso piazza Maggiore.

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A NAPOLI, da piazza Garibaldi a piazza del Plebiscito, c’erano le bandiere di Cgil, Fiom, Cobas, Rifondazione Comunista, Mediterranea, dei movimenti dei disoccupati e dei comitati di Scampia che hanno puntato il dito sul «modello Caivano». «Con queste norme uno studente o un lavoratore che manifestano per il diritto allo studio o per la difesa del proprio posto di lavoro, rischia fino a due anni di carcere ha detto il segretario regionale della Cgil campana Nicola Ricci – C’è un tema che riguarda la tenuta della democrazia: in questo paese deve continuare ad esserci la garanzia di poter dissentire».

A GENOVA la stessa composizione plurale si ritrovata davanti alla prefettura per opporsi a «un provvedimento sbagliato e pericoloso, che limita le libertà fondamentali sancite dalla Costituzione e colpisce i diritti di sciopero, di manifestazione e di dissenso senza affrontare i reali problemi del paese». «La sicurezza non si costruisce con la repressione, ma con il lavoro dignitoso, con contratti nazionali che prevedano salari adeguati e con servizi pubblici efficienti e accessibili a tutte e tutti – sostiene la rete contro il Ddl – Il governo deve ritirare il provvedimento, che aumenta le disuguaglianze e restringe i diritti invece di concentrarsi sulle vere emergenze: lavoro, sanità, istruzione e giustizia sociale». A Venezia, appuntamento davanti alla stazione, identificata come possibile «zona rossa», anche in occasione del Carnevale. Alcuni manifestanti sono saliti sul tetto della stazione srotolando uno striscione con la scritta «Diamo il Daspo a questo governo. No al Ddl paura».

SI È MANIFESTATO anche a Brescia, Treviso, Vicenza, Schio, Cagliari e Lecce. Intanto la destra propone il meccanismo consueto: utilizza singoli casi di cronaca per invocare l’«accelerazione» dell’iter del disegno di legge governativo, che è ancora in commissione al senato. E per minacciare il ricorso alla formula blindata del decreto, con tanto di fiducia, soltanto perché le opposizioni parlamentari stanno facendo il loro lavoro: hanno sollevato le questioni di costituzionalità e di rispetto dello stato di diritto che nei mesi scorse sono finite nel mirino anche di diverse istituzioni sovranazionali.



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