Poco più di 15 anni fa Atene registrava i primi segni di cedimento di un sistema economico, sociale e finanziario che non poteva tenere il passo delle regole imposte dall’Europa. E non era la sola. Insieme a lei anche Spagna, Irlanda, Portogallo e Italia si dimostravano soggetti fragili in una comunità che faticava (e spesso ancora oggi fatica) a convivere. Atene, però, era l’anello più debole della catena e quindi fu al centro di una crisi che mise in forse anche la possibile esistenza dell’euro. Arrivarono riforme e revisioni radicali, una cura drastica che, dopo anni di austerity, sembra dare i primi frutti. Ma cosa è successo da allora ad oggi? A rispondere è Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Konstantinos Tasoulas, ex presidente del parlamento greco e deputato di Nea Dimokratia, è stato eletto presidente della Repubblica greca. Qual è, attualmente, la fotografia del panorama politico greco?
«L’elezione di Konstantinos Tasoulas come Presidente della Repubblica della Grecia si inserisce in un contesto politico che, pur mostrando segni di rinnovamento rispetto al passato, in particolare nelle fazioni minori, resta fondamentalmente ancorato alla tradizione istituzionale e alla centralità dei partiti storici. Negli ultimi anni, infatti, la scena politica in Grecia è stata dominata dalla coalizione guidata da Nea Dimokratia, che, grazie a una gestione economica e politica incentrata su stabilità e continuità, ha saputo mantenere un ampio consenso popolare nonostante le sfide interne ed esterne al Paese. L’elezione di Tasoulas, figura di lungo corso e con un forte background istituzionale, conferma questa tendenza. Dopo aver ottenuto 160 voti su 300 deputati al quarto scrutinio, si appresta a succedere a Katerina Sakellaropoulou il prossimo 13 marzo. La sua candidatura, proposta dalla maggioranza conservatrice, è stata interpretata come una scelta di continuità, che rafforza l’asse tra il governo e le istituzioni repubblicane. Tuttavia, non sono mancate le critiche da parte delle opposizioni, secondo cui non è stata rispettata la prassi di eleggere la massima carica dello Stato al di fuori della sfera politica della maggioranza governativa, per garantire un ruolo super partes. La scelta di Tasoulas, per quanto legittima e in linea con l’attuale equilibrio parlamentare, è vista dai critici come un segnale di ulteriore concentrazione del potere nelle mani di Nea Dimokratia, piuttosto che come un tentativo di bilanciare le diverse anime politiche del Paese».
La Grecia torna dunque sotto i riflettori dopo il caos del 2009, caos dopo il quale nacque la sigla PIIGS. Cosa significa questa sigla?
«Il termine PIIGS è un acronimo coniato dalla stampa anglosassone dopo il 2007, nel contesto della crisi finanziaria globale, per indicare quei Paesi all’interno dell’Europa che, a causa di debolezze strutturali, elevati livelli di debito pubblico, inefficienze fiscali e sistemi di governance poco efficienti, risultavano particolarmente vulnerabili agli shock economici del periodo. Inizialmente, si parlava semplicemente di PIGS: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Nel 2010, con il progredire della crisi, venne inclusa anche l’Irlanda. L’etichetta si diffuse rapidamente e con una certa connotazione negativa, anche per via del significato inglese del termine, alimentando ulteriormente la percezione che tali Stati rappresentassero gli “anelli deboli” all’interno della zona Euro, con conseguenze negative sulla fiducia degli investitori e un innalzamento dei costi di finanziamento. Il termine PIIGS ha avuto un impatto notevole nel plasmare il dibattito pubblico e ha generato una certa semplificazione delle complesse dinamiche economiche di ciascun Paese, senza tenere adeguatamente conto delle peculiarità economiche e dei diversi percorsi di riforma intrapresi per uscire dalla crisi».
Dalla crisi della Grecia, che mise a rischio anche l’esistenza dell’euro, sono passati ormai 15 anni. Quali furono le cause che la scatenarono e quali sono stati i provvedimenti presi per risolverla?
«La crisi che colpì la Grecia a partire dal 2008 fu una delle peggiori della sua storia e portò il Paese molto vicino al default. Le cause alla base sono molteplici: negli anni precedenti, la Grecia aveva accumulato un debito pubblico eccessivo, per via di una spesa pubblica incontrollata e un sistema fiscale inefficiente, segnato da un alto tasso di evasione. Alla fine del 2009, l’allora Presidente George Papandreou rivelò che i governi precedenti avevano presentato bilanci falsificati nel tentativo di entrare nell’euro: mentre il deficit ufficialmente dichiarato era intorno al 6–8% del PIL, le stime reali lo collocavano intorno al 15%. Dopo queste dichiarazioni, la Commissione europea annunciò di non avere più fiducia nei dati pubblicati dal governo greco, con un effetto domino che colpì i mercati, al punto che le agenzie di rating abbassarono drasticamente la qualità del debito ellenico, portandolo al grado “junk”. Di conseguenza, i tassi d’interesse sui titoli di Stato salirono vertiginosamente. Per fronteggiare la situazione, la Grecia fu costretta a richiedere assistenza internazionale: vennero così concordati tre piani di salvataggio, nel 2010, 2012 e 2018. Solo il primo, da parte della “troika” – Commissione Europea, BCE e FMI – ammontava a circa 110 miliardi di euro; in seguito, gli altri interventi portarono il totale a oltre 240 miliardi. In cambio, il Paese dovette attuare misure di austerità estremamente rigorose: tagli alla spesa pubblica fino al 32%, aumenti delle tasse e riforme strutturali per riorganizzare il sistema fiscale e ridurre il deficit. Inoltre, furono implementate riforme per modernizzare la burocrazia e il mercato del lavoro, nonché piani per la ristrutturazione del debito. Queste misure, pur causando un periodo di grande sofferenza sociale, hanno gradualmente ristabilito la fiducia dei mercati finanziari. Ad oggi, la Grecia ha compiuto notevoli progressi nel consolidamento delle proprie finanze: il deficit è stato ridotto e, sebbene il debito rimanga elevato, la gestione fiscale è notevolmente migliorata. Il percorso del Paese ha rappresentato una lezione cruciale per il sistema economico europeo, a riprova di quanto sia fondamentale un sistema fiscale efficiente e una gestione responsabile della spesa pubblica per garantire la stabilità economica».
Si può delineare un profilo economico della Grecia attuale? Quali progressi sono stati fatti dal 2009 ad oggi?
«Negli ultimi 15 anni la Grecia ha compiuto una trasformazione economica sostanziale, passando da una situazione di crisi senza precedenti a un quadro più stabile e strutturato. Nel corso del 2024, infatti, l’economia ellenica si è assestata tra le le “top performers” a livello mondiale, tra le prime cinque, secondo l’Economist, insieme alle europee Spagna e Italia, grazie agli ottimi risultati nel raggiungimento di un avanzo fiscale, un aumento dei prezzi delle azioni e una riduzione del tasso di disoccupazione, accanto a un quadro macroeconomico più solido rispetto al passato e nuove prospettive di crescita futura, sebbene permangano alcune fragilità strutturali. Le misure di austerità e le riforme strutturali attuate in cambio dei pacchetti di salvataggio internazionali hanno consentito di ridurre significativamente il deficit pubblico e migliorare la trasparenza dei conti statali, eliminando gran parte delle distorsioni contabili che avevano minato la fiducia degli investitori. Tuttavia, il prezzo sociale ed economico di tali misure è stato elevato, con una contrazione prolungata del PIL, un aumento della disoccupazione e una pressione significativa sul welfare. Dal punto di vista settoriale, il turismo e il trasporto marittimo rimangono i principali motori economici, contribuendo in modo sostanziale al PIL e all’occupazione. Negli ultimi anni, però, il Paese ha cercato di diversificare la propria economia, puntando su innovazione, energia rinnovabile e digitalizzazione. La riforma della pubblica amministrazione e il miglioramento del quadro fiscale hanno favorito l’attrazione di investimenti esteri, mentre il mercato del lavoro ha beneficiato di una maggiore flessibilità. Nonostante questi progressi, il debito pubblico greco rimane tra i più alti d’Europa in rapporto al PIL, sebbene la sostenibilità sia migliorata grazie a un mix di crescita economica, bassi tassi di interesse e gestione più efficiente delle scadenze obbligazionarie. La Grecia ha inoltre recuperato l’accesso ai mercati finanziari in condizioni più favorevoli, beneficiando di un aumento della fiducia da parte degli investitori e delle agenzie di rating».
Quali sono le prospettive per l’economia ellenica nel prossimo futuro?
«A mio avviso, il quadro per la Grecia è moderatamente positivo: il Paese ha ormai intrapreso un percorso di crescita più equilibrato, che, se accompagnato da ulteriori riforme strutturali, investimenti strategici e da una gestione attenta dei rischi rispetto al passato, potrà consolidarsi ulteriormente nel medio termine. Le stime per il prossimo biennio indicano un’espansione del PIL intorno al 2,5% nel 2025) e al 2,3% nel 2026, valori superiori alla media dell’Eurozona, che dovrebbe crescere rispettivamente dell’1,3% e dell’1,6% nel 2026. Si prevede che questi risultati saranno trainati soprattutto dall’incremento degli investimenti – sostenuti in parte dal contributo dei fondi europei – e da una ripresa della domanda interna, favorita dal miglioramento del reddito reale delle famiglie e dall’ulteriore rafforzamento del mercato del lavoro. Inoltre, il tasso di occupazione, già in ripresa, dovrebbe beneficiare dell’aumento del salario minimo e di condizioni di credito più favorevoli per le imprese, in un contesto di inflazione che dovrebbe rimanere sotto controllo. A livello settoriale, ritengo che il turismo continuerà a rappresentare un pilastro fondamentale per l’economia ellenica, che da sempre vi ha fatto forte affidamento e ad oggi vive un interesse crescente (anche da parte di investitori internazionali) e sta puntando sulla diversificazione dell’offerta turistica. Parallelamente, il comparto marittimo manterrà il suo ruolo chiave, ma sarà necessario affrontare le sfide derivanti dalla transizione ecologica e l’adeguamento alle normative ambientali internazionali. Accanto a ciò, uno dei principali fattori di crescita nel medio-lungo termine sarà la digitalizzazione dell’economia. Si tratta infatti di un’area in cui il Paese ha ancora margini di miglioramento, soprattutto rispetto ad altri dell’Eurozona; tuttavia, il recente rafforzamento dell’ecosistema tecnologico e le iniziative per attrarre investimenti nel settore digitale hanno il potenziale di trasformare la Grecia in un nuovo hub digitale. Gli investimenti nelle infrastrutture digitali, nell’AI e nelle rinnovabili potrebbero contribuire a diversificare la struttura produttiva del Paese e a ridurre la dipendenza da settori tradizionali. Ad ogni modo, permangono alcune criticità. Il debito pubblico, pur gestibile nel breve periodo grazie alle condizioni favorevoli sui mercati finanziari, resta uno degli elementi di rischio principali, soprattutto in un contesto di politiche monetarie meno accomodanti. Inoltre, la competitività del sistema economico greco dipenderà dalla capacità di mantenere un ambiente favorevole agli investimenti esteri, migliorare l’efficienza del settore pubblico e garantire una maggiore stabilità normativa».
Quali sono i rapporti economici tra Italia e Grecia?
«Le relazioni bilaterali tra Italia e Grecia sono decisamente solide e si fondano su un interscambio commerciale stabile, sostenuto da una prossimità geografica e culturale che ha sempre favorito scambi di beni, servizi e investimenti. Entrambi i Paesi, membri dell’Unione Europea e della NATO, condividono inoltre un quadro regolatorio che agevola le transazioni e crea opportunità di cooperazione in diversi settori strategici. L’Italia rappresenta da anni uno dei principali partner commerciali della Grecia, il secondo fornitore del Paese ellenico: solo da gennaio a ottobre dello scorso anno, infatti, l’export nostrano verso la Grecia ha rappresentato un totale di 5.976,86 milioni di euro, con un aumento del 2% rispetto al periodo dell’anno precedente precedente. Di converso, l’Italia è il primo mercato di destinazione dell’export greco, con 3.991,93 milioni di euro generati sempre nello stesso intervallo del 2024, benché in calo di oltre il 20% su base annua. Guardando alla composizione degli scambi bilaterali, l’Italia rifornisce la Grecia soprattutto nei settori dell’agro-alimentare, della meccanica, delle attrezzature industriali, delle macchine utensili e dei prodotti chimici e farmaceutici. Allo stesso tempo, le esportazioni dalla Grecia verso il Belpaese riguardano principalmente prodotti alimentari, petroliferi raffinati e metalli. La diversificazione dei flussi commerciali testimonia la complementarità delle due economie e la capacità dei rispettivi comparti produttivi di rispondere alla domanda reciproca in segmenti strategici. Inoltre, la relazione commerciale tra i due Paesi si distingue anche per una presenza consolidata di imprese italiane in Grecia, che operano in settori chiave come infrastrutture, energia, trasporti e servizi innovativi. Accanto ai grandi gruppi, una rete capillare di piccole e medie imprese italiane è attiva sul mercato greco, sia attraverso partnership dirette che tramite distributori e agenti locali».
Questo tessuto imprenditoriale diffuso, conclude Debach, ha facilitato la penetrazione del Made in Italy in comparti ad alto valore aggiunto come la moda, la tecnologia e l’alimentare, rafforzando ulteriormente i legami economici tra i due Paesi.
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