‘Ndrangheta e calcio, Malagò in Antimafia. «La presenza dei clan nelle curve ci ha sorpreso non poco»

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ROMA «Il rischio dell’infiltrazione mafiosa nelle società sportive e il concreto atteggiarsi di alcuni gruppi organizzati di tifosi come associazioni criminali rappresentano un segnale da accogliere con tempismo e forte responsabilità da parte di tutte le istituzioni coinvolte» e inoltre «il mondo del calcio sta svolgendo bene la sua parte, adeguando con gradualità e con raziocinio la propria organizzazione, aggiornando le regole e prevedendo nuovi sistemi di controllo e garanzia in modo che le manifestazioni sportive possano svolgersi in un contesto di assoluta regolarità, trasparenza e serenità, sotto ogni punto di vista, anche per preservare quel patrimonio di valori, non solo economici, ma etici e culturali insiti nella tradizione del calcio italiano».  

In poco meno di un’ora Giovanni Malagò, presidente del CONI, ha risposto alle domande a cui è stato sottoposto in Commissione Antimafia, convocata nei giorni scorsi. Un’audizione giunta nel mezzo dell’inchiesta “Doppia Curva” della Dda di Milano contro l’organizzazione criminale che in questi anni avrebbe gestito del curve di Inter e Milan, sotto l’influenza ingombrante della ‘ndrangheta calabrese, il cui processo è già nelle fasi preliminari. L’inchiesta, in particolare, avrebbe svelato gli interessi dei clan sui biglietti, sul merchandising e sui parcheggi, mostrando un certo radicamento nel tempo per un business in grado di fruttare centinaia di migliaia di euro, divisi fra i capi ultrà e i loro sodali. A dare la “sveglia” ad una inchiesta in corso già nei mesi precedenti, l’omicidio di Totò Bellocco (cl. ’88), rampollo dell’omonimo clan calabrese, ucciso dal socio-amico Andrea Beretta, oggi collaboratore di giustizia.

A proposito, dunque, delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel mondo del calcio, il CONI nel 2014 ha riformato il sistema di giustizia sportiva, adottando un codice che tutte le federazioni sportive nazionali hanno recepito. La Federcalcio, dal canto suo, si è adeguata e nel corso degli anni ha previsto e irrobustito un articolato sistema di norme dirette a prevenire, contrastare e sanzionare sia all’interno degli impianti sportivi che all’esterno, fatti e attività violente come intimidazioni, discriminazioni, offese, denigrazioni, insulti per la persona anche nell’ottica di contrastare e perseguire le infiltrazioni mafiose nelle manifestazioni sportive ed eventuali legami tra la criminalità organizzata e le società sportive stesse. Secondo Giovanni Malagò «la disciplina è così pervasiva da imporre al tesserato un divieto di interlocuzione, non solo con sostenitori che si rendano protagonisti di comportamenti violenti e denigratori, ma anche con sostenitori e i gruppi che più semplicemente non facciano parte di associazioni convenzionate con la società». Una violazione che comporterebbe per i tesserati, i dirigenti, gli allenatori e gli atleti sanzioni che, per i casi più gravi, portano alla squalifica o addirittura all’inibizione.

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«È proprio in base a queste norme» ha chiarito Malagò in Commissione «che in seguito all’indagine aperta dalla procura di Milano sulle presunte infiltrazioni mafiose nelle curve di Milan-Inter, la procura federale ha aperto un’indagine autonoma, richiedendo gli atti alla magistratura ordinaria per accertare eventuali responsabilità disciplinari dei tesserati dei due club». A detta di Malagò, inoltre, «il mondo dello sport, pure con i suoi limiti e le sue criticità, ha assunto diverse misure, concrete e finalizzate a contrastare la violenza in occasione di manifestazioni sportive e le infiltrazioni mafiose nelle stesse. Restano delle criticità, alcune delle quali lo stesso mondo dello sport da solo non può risolvere, come ad esempio la necessità improcrastinabile di realizzare impianti sportivi in grado di garantire i più elevati standard di sicurezza e di conforto degli spettatori».
A proposito degli interessi della ‘ndrangheta rivolti al mondo del calcio e delle curve di San Siro, Malagò in Commissione ha mostrato un certo rammarico, ma anche sorpresa. «Che le curve siano state in passato frequentate da persone che avevano qualche precedente – forse anche un eufemismo – di carattere penale su altri contesti, è una cosa fin troppo notoria anche al grande pubblico e si è in passato provveduto con il Daspo e quant’altro» ha spiegato, ma «per ciò che riguarda questa vicinanza, per non dire complicità, addirittura della ‘ndrangheta, al di là dell’ubicazione, onestamente ci ha sorpreso non poco».

Particolarmente significativa la domanda dell’ex procuratore della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, il quale ha sposto l’accento sulla capacità delle cosche di ‘ndrangheta di acquistare squadre di calcio dilettantistiche perché, portandole poi nei campionati ai livelli più elevati, riuscirebbe a manifestare una ulteriore propria capacità, non solo di controllo del territorio, ma anche di forza. Secondo Malagò, «il CONI non è in grado di sapere se c’è un capitale che viene messo a disposizione per acquistare una società di un campionato dilettantistico di basso livello», ha chiarito Malagò, «e magari con una progressione che la porta a partecipare a campionati più importanti con le dinamiche economiche che ne seguono. Purtroppo, in questo caso, non possiamo essere d’aiuto», ha chiosato Giovanni Malagò. (g.curcio@corrierecal.it)

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