vince la Cdu, Afd non sfonda, sorpresa Linke

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Il voto in Germania ha sorpreso per la sua…prevedibilità. Tutto nella norma e secondo previsioni, in un contesto di elevata attenzione politica per il voto in cui Berlino ha regalato una festa di partecipazione democratica (84% di affluenza) a un’Europa in anemia di attività alle urne.

Vince l’Unione Cdu-Csu cristiano-democratica e capitanata da Friederich Merz, che gli exit poll danno tra il 28,5% e il 29% dei voti; seconda la destra di Alternative fur Deutschland, tra il 19 e il 20%, che arriva al record storico di consensi; terza, al 16,5% la Spd del cancelliere uscente Olaf Scholz. Meno 9 punti per la Spd e più 9 per la Afd, secondo gli exit poll, rispetto al voto del 2021. Calano ma non tracollano (dal 15 al 12,5% circa) i Verdi, vola la sinistra della Linke (dal 5 al 9%), sorpresa del voto, mentre in bilico sul 5% e la soglia di sbarramento ci sono Bsw, la coalizione conservatrice di sinistra di Sahra Wagenknecht, e i liberali del Fdp.

Questa a sommi capi la fotografia di un voto in cui le posizioni appaiono cristallizzate rispetto ai risultati dei principali sondaggi, che riflettevano un elettorato mobilitato e attivo su ogni fronte. Cosa si può trarre da questi risultati? Per ora, premettendo che si tratta di dati da verificare alla prova dei risultati effettivi, sono almeno tre i punti da sottolineare.

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Primo: nessuna onda bruna sulla Germania. L’Afd cresce di oltre il 4% rispetto alle Europee di giugno ma non va oltre i risultati di cui da tempo era accreditata e, anzi, non tocca nemmeno i picchi nei sondaggi del gennaio 2024. Lo spauracchio del partito di Alice Weidel e del suo presunto ruolo di formazione neonazista era stato utilizzato per presentare il voto tedesco come un referendum per l’Europa intera e, addirittura, un termometro per la tenuta della nostra stessa democrazia.

L’Afd, però, è stata esclusa in anticipo da qualsiasi ipotesi di coalizione dagli altri partiti e, soprattutto, non ha conosciuto né boom significativi né particolari cali rispetto alle settimane di sovraesposizione mediatica a cui anche la stessa Weidel l’ha portata. Quando l’elettorato si mobilita lo fa su ogni fronte: ora più che mai sarà doveroso parlare dell’Afd come di un partito portatore di istanze radicali, e su molti punti di vista indubbiamente ambigue, ma che demonizzare non farà certamente scomparire.

In secondo luogo: lo scenario apre la strada al governo di coalizione Cdu-Spd. La Grande Coalizione che per dodici dei sedici anni dell’era di Angela Merkel, prima di Scholz, ha governato la Germania è pronta a tornare? Nonostante le distanze tra il partito di Merz e i socialdemocratici su diversi dossier, dall’ambiente all’immigrazione passando per le politiche fiscali europee, Cdu e Spd appaiono “condannate” a governare assieme proprio perché la volontà di escludere Afd rende impossibile altre alchimie politiche. E tutto questo nonostante l’elettorato, da tempo, abbia mostrato una crisi di rigetto verso le politiche economiche, industriali, sociali promosse dai due partiti storici del Paese, la cui sommatoria di consensi è calata dopo le esperienze di governo in coalizione.

La sommatoria tra Cdu e Spd era pari a oltre il 67% dei voti nelle elezioni del 2013; è scesa a poco più del 53% nel 2017 e a poco meno del 50% nel 2021. Oggi, gli exit poll lasciano pensare che possa arrivare al minimo storico, sotto il 45%. Al tempo stesso, a livello europeo questo riflette una maggiore critica delle politiche della Grande Coalizione tra popolari e socialisti imperniata proprio su Cdu e Spd. Potranno essere le due formazioni contro cui si è orientato il malcontento tedesco negli ultimi anni capaci di risolvere problemi politici e una crisi economica che gli elettori imputano proprio all’operato dei loro esecutivi, soprattutto nell’era Merkel?

Infine, c’è da sottolineare un trend politico emergente: un voto di protesta non più orientato solo a destra ma anche a sinistra. La ripresa della Linke, partito di stampo radicale guidato dalla 36enne Heidi Reichinnek, è stata imputata dallo spostamento di una formazione divenuta negli ultimi anni liberal su posizioni di lotta sui temi dei salari, dell’industria, delle politiche sociali. Un obiettivo chiave: mobilitare una massa scontenta storicamente cavalcata dall’Afd. Sommando al 9% il 5% della sua scissione, Bsw, notiamo quanto senza l’uscita di una formazione più massimalista e ora in bilico sulla soglia di sbarramento la sinistra erede del partito-guida dell’ex Ddr avrebbe potuto addirittura superare i Verdi come quarta formazione. Un trend politico che può fungere da pungolo a un eventuale governo Merz, a cui un risultato sopra il 5% di Fdp e Bsw imporrebbe di aggiungere una terza formazione. Rendendo un rebus il futuro del Paese.

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