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Se siete tra quelli che pensano “pericolo scampato” dopo le elezioni di ieri in Germania, potete tranquillamente smettere di leggere ora, perché questo articolo non vi piacerà.
Perché no, nessun pericolo è stato scampato con la “vittoria” – le virgolette sono d’obbligo – della Cdu guidata da Friedrich Merz. E non solo perché proprio Merz è l’unico politico tedesco ad aver aperto, in tempi non sospetti, a un’alleanza – seppur solo a livello locale, sosteneva – tra cristiano democratici ed estrema destra. Ma anche perché Friedrich Merz e la Cdu non hanno vinto un bel niente: queste elezioni le ha vinte Alternative fur Deutchsland. E non perché ha conquistato la cancelleria, ma perché ha incenerito la regola non scritta di ottant’anni di politica tedesca, dalla caduta di Adolf Hitler in poi. Perché l’estrema destra, con malcelate simpatie neonaziste, si è ripresa il centro della scena a Berlino, là dove pensavamo fosse stata definitivamente sconfitta.
I soliti esagerati, penserete. No, purtroppo. Parliamo di un partito che nelle regioni in cui è più forte, la Turingia, il Brandeburgo, la Sassonia, è saldamente nelle mani di una corrente che si chiama Der Flugel, l’Ala, guidata da gente come l’ex professore di Storia Bjorn Hocke, uno che pensa che il memoriale della Shoah costruito a Berlino dove un tempo sorgeva la villa di Goebbels sia un “monumento alla vergogna”, uno che è già stato condannato per aver usato degli slogan delle Ss nei suoi comizi elettorali, uno convinto che il Covid sia stato un complotto pluto-giudaico-massonico, nemmeno fossimo nel 1933. In Turingia, terra di Hocke, AfD veleggia sopra il 30% ed è saldamente primo partito.
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Questo partito, oggi, è il secondo partito tedesco con oltre il 20% dei consensi, pochi punti dietro la sola Cdu, saldamente davanti ai socialdemocratici della Spd e ai Verdi. In un Paese in cui per settant’anni non esisteva nemmeno un partito a destra della Cdu, da oggi AfD si troverà nella condizione di essere il più grande partito di opposizione a una grande coalizione in cui, per arrivare alla metà dei seggi, Merz dovrà per forza provare a costruire una coalizione con i socialdemocratici – ammesso e non concesso che ci riesca. Una situazione invidiabile, tanto più in un Paese in crisi come la Germania, messo in ginocchio dalla crisi dell’auto, dai dazi di Donald Trump, dalle difficoltà nell’approvvigionamento energetico. Difficile non scommettere su un’ulteriore crescita di AfD, nei prossimi anni.
Fatti loro? Fino a un certo punto. Perché la situazione tedesca è speculare a quella francese, dove il Rassemblement National sta cucinando a fuoco lento la maggioranza-arlecchino uscita dal cilindro di Emmanuel Macron dopo le elezioni legislative dello scorso giugno. Il 2027 è lontano, ma fino a un certo punto. A oggi, Marine Le Pen vincerebbe contro qualunque candidato le si parasse di fronte al secondo turno, dal giovane moderato Attal al vecchio comunista Melenchon. E anche lei può contare serenamente sul fatto che i prossimi anni, per l’economia francese, non saranno certo lastricati di petali di rosa.
Non bastasse, l’estrema destra è saldamente al governo nella terza gamba dell’Unione, l’Italia, governa in Olanda, Belgio, Austria e domina l’agenda politica in buona parte dell’Europa dell’est e del nord. Se fino a ieri la Germania era il vero grande argine a questa deriva, oggi quell’argine non esiste più. Per governare senza emorragie di voti verso destra, Merz dovrà fare quel che l’AfD chiede. E AfD potrà permettersi di alzare costantemente il tiro, spostando ulteriormente a destra l’asse politico tedesco, mese dopo mese, anno dopo anno.
Cosa vuol dire tutto questo, in concreto? Vuol dire fine di ogni politica di lotta al cambiamento climatico, vuol dire segregazione per gli stranieri – tanto più se di fede islamica – e deportazioni per i migranti irregolari, vuol dire protezionismo in economia, vuol dire tanti saluti a un’Europa che si unisce ancora di più, in estrema sintesi. E quando la locomotiva tedesca decide la direzione, di solito, gli altri vagoni – volenti o nolenti – si adeguano.
E la sinistra, vi chiederete infine? Beh, per la sinistra – o meglio, dai: per tutto ciò che non è estrema destra – vale sempre lo stesso adagio. Se anche questa volta farà finta di non vedere il pericolo, convinta di poter addomesticare la belva, o quanto meno di godersi la caduta finché non arriva l’atterraggio, l’estrema destra può dormire serena tra due guanciali, Se caso mai si accorgesse finalmente che ogni argine è caduto, che l’Europa del secondo dopoguerra è morta e sepolta e che servono forme, soggetti, programmi, persone nuove per provare a invertire la rotta, ecco, magari potrebbe tornare a giocarsela. Non solo in Germania, s’intende.
Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell’European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è “Nel continente nero, la destra alla conquista dell’Europa” (Rizzoli, 2024).
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