A Berlino una sponda per la Meloni

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Il terremoto elettorale in Germania è di quelli che lasciano il segno: i popolari vincono, l’estrema destra di AFD raddoppia aumentando i suoi voti di dieci punti, gli stessi che perde la SPD, precipitando al 16%. Un risultato che sposta il baricentro del governo di Berlino nell’area moderata. Sono dati che da noi fanno esultare Forza Italia («Ppe vero argine ai populisti», dice Tajani) e, contemporaneamente, Matteo Salvini l’unico ad intrattenere (neppure la Le Pen ha osato tanto) rapporti con AFD. «Il cambiamento – si è affrettato a dire Salvini- vince anche in Germania, l’Europa deve cambiare radicalmente». Pure la Meloni può ritenersi soddisfatta: d’ora in avanti avrà un interlocutore meno critico di Scholz a Berlino, quel Merz che non ha nascosto negli ultimi mesi la stima che nutre nei suoi confronti. Il nuovo cancelliere però proprio per questo chiederà una scelta di campo più chiara tra l’Ue e l’America di Trump. Il voto tedesco, invece, conferma la crisi della sinistra. L’unico leader socialista rimasto alla guida di un grande paese dell’unione europea è il socialista Sanchez. In più, preoccupante per la Schlein, le elezioni in Germania dimostrano che anche l’ipotesi di una sinistra più radicale oltre a dividere l’area progressista non è premiante. A parte i dati dei diversi partiti, però, c’è un dato politico ancor più importante che non potrà non avere conseguenze anche in Italia. Se le previsioni saranno rispettate, infatti, popolari e socialisti potrebbero dar vita ad un governo di grande coalizione magari con la presenza dei Verdi. Non è poca cosa perché sarebbe una coalizione più stabile di quella tripartita che sosteneva il precedente governo guidato da Scholz. Ma soprattutto terrebbe la diga contro la partecipazione dell’estrema destra al governo. Se così fosse verrebbe meno uno dei grandi handicap dell’Europa di questi anni, che ha indebolito non poco la presenza della Ue sullo scenario internazionale, cioè l’assenza della Germania. Una sorta di vacatio determinata da due debolezze: quella della personalità del suo cancelliere e del governo che presiedeva. Ora sulla figura di quello che sarà il prossimo cancelliere, il popolare Merz, quella carenza potrebbe essere superata e si volterà pagina creando di fatto un’assonanza, se non addirittura un asse, tra Berlino e Bruxelles, visto che il nuovo capo del governo di Berlino e la Presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, sono espressione dello stesso partito, il PPE. Se si tiene conto che i popolari sono da sempre il motore del processo di integrazione europea, si comprende come il peso e il protagonismo dell’Europa al livello internazionale sono destinati ad aumentare con i nuovi equilibri usciti dalle elezioni tedesche. Contribuisce anche il fatto che il profilo del nuovo cancelliere per una serie di ragioni è centrale nell’intreccio di relazioni che determinano la politica dell’Unione. Parla un linguaggio che si coniuga tranquillamente con quello del presidente francese, Macron, a cominciare dal ruolo che l’Europa deve svolgere nel negoziato per la fine del conflitto ucraino all’esigenza di accelerare il processo di unificazione europeo sul piano politico e militare. Merz sull’Ucraina si ritrova anche sulla stessa lunghezza d’onda di Londra. Sono i tre paesi che si appongono all’idea trumpiana di una Kiev penalizzata nel negoziato di pace. Tant’è che per aumentarne il peso il nuovo cancelliere, come ha promesso in campagna elettorale, potrebbe inviare in Ucraina i missili Taurus l’arma che nell’ultimo anno Zelensky ha richiesto a Berlino invano. Una filosofia che in un modo o nell’altro tira in ballo anche il nostro governo. Merz, specie nell’ultimo anno, è stato appunto un estimatore della politica di Giorgia Meloni. Per azzardare un paragone con la Merkel, il nuovo cancelliere è sempre stato fautore di un rapporto con le con le destre europee meno estreme su alcuni argomenti delicati come l’immigrazione. Questo significa da una parte che la Meloni d’ora in avanti avrà una sponda a Berlino, cioè non ci saranno più nei suoi confronti i pregiudizi di Scholz in primo luogo su temi delicati come l’immigrazione . Dall’altra la premier italiana non avrà più un alibi per rinviare o temporeggiare la scelta sulla strada che deve imboccare tra le sirene di Washington e il destino comune che la lega all’Europa. Un’opzione di fondo che caratterizzerà non poco la politica del suo governo perché – per azzardare un paragone – se Trump è il teorico dell’America First, Merz sará il filosofo dell’Europe First, cioè sarà il paladino di una linea che si opporrà all’emarginazione del ruolo dell’Europa nel mondo, una sorta di sovranismo europeo del tutto diverso dalle suggestioni di Elon Musk. A ben vedere la visione del nuovo cancelliere appare addirittura antagonista con quella del Presidente USA. Questo finirà per divaricare anche la maggioranza da noi, che ha al suo interno un partito fieramente organico al Ppe come Forza Italia.

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«I popolari – ha ripetuto ieri Tajani- sono il vero argine alla deriva populista». E, dall’altra, una lega salviniana obnubilata dal richiamo dell’estrema destra e dagli slogan di Trump. Il bivio per la Meloni, quindi, si fa sempre più vicino.



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