Effettua la tua ricerca
More results...
Mutuo 100% per acquisto in asta
assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta
Quarantamila vittime. Dieci milioni di sfollati. Tre anni dopo l’invasione russa dell’Ucraina le bombe continuano a cadere. Da quando la guerra è iniziata padre Ihor Boyko, rettore del seminario greco – cattolico di Leopoli, viaggia in tutto il Paese, fino alle zone sotto assedio, per portare aiuti umanitari e sostenere la popolazione: «Non molliamo. Non abbassiamo le mani (non rimaniamo con le mani ferme ndr)», dice. «Facciamo quello che possiamo fare».
Sono passati tre anni. Come sta? Come state?
Non molliamo. Non abbassiamo le mani. Facciamo ciò che possiamo fare. Resistiamo. Capiamo quali sono i bisogni più importanti, più urgenti. Il nostro primo pensiero e il nostro aiuto va a chi è al fronte, a chi protegge la nostra patria dal nemico. Li sosteniamo con la preghiera, con l’invio di aiuti: vestiti caldi, generatori, qualcosa da mangiare. Poi ci sono gli sfollati, i profughi, tutte le persone rimaste nella parte Est del Paese, nelle città occupate e nei villaggi bombardati. Le persone qui non hanno elettricità, non hanno cibo, non hanno medicine. Andare lì è importante: devono sapere che non sono soli, che il nostro pensieri va a loro, che gli siamo accanto.
Vi sentite abbandonati?
Completamente abbandonati no. Ma sentiamo che l’attenzione sta calando. Nel 2022, così come per tutto il 2023, gli aiuti sono arrivati in grande quantità. Poi hanno iniziato a diminuire. Tre anni di guerra sono un tempo lungo, ovunque si registra stanchezza. Dall’altra parte, invece, è come se noi ucraini ci fossimo abituati a vivere in una condizione di guerra.
Quale bisogno percepite come più urgente?
Tutto è urgente. Ma c’è una necessità di supporto psicologico mai registrata prima. In troppi ora vivono in dei corpi feriti, corpi di cui hanno perso braccia, gambe, mani. Come sacerdoti dobbiamo aiutare queste persone, soprattutto giovani, a continuare la loro vita. Dobbiamo anche rispondere alle domande.
Quali?
“Perchè mio figlio è morto?”. “Come continuo a vivere senza?”. “Come tengo viva la sua memoria?”. Per questo organizziamo gruppi di mutuo aiuto. Non possiamo sottrarci al dolore di nessuno.
Vi chiedete quando finirà?
Tutte le guerre hanno avuto un inizio e una fine. Anche questa finirà. Non so quando, ma le bombe smetteranno, ad un certo punto, di cadere. Noi continueremo a provare a far capire al mondo che stiamo cercando di proteggere la nostra terra, stiamo provando a fermare il nemico che vuole occupare le nostre città. E il mondo, gli altri, devono capire che la pace deve essere giusta. Che dobbiamo vederci restituire i territori che sono stati occupati. Che qualcuno deve rispondere per i crimini di guerra che sono stati commessi. Non può essere una pace a qualsiasi costo, non può essere una pace ingiusta. Stiamo pensando al futuro. Un futuro dove gli ucraini hanno il diritto di vivere in un Paese libero. Noi siamo ancora in piedi, non in ginocchio. La forza del nostro popolo ha meravigliato tutto il mondo. Noi resistiamo e resisteremo.
In questi tre anni qual è stata per lei la cosa più dolorosa? (Padre Ihor si prende del tempo. Ci pensa. Anche se di solito parla veloce, come se nella sua testa fosse già chiara la domanda che sta per arrivare. Poi sospira, e risponde, ndr).
Vado spesso al cimitero, soprattutto in quello di Leopoli. Ci sono sempre le mamme vicino alle tombe dei loro figli morti giovani. Rimangono sedute lì per ore, a volte giorni. Ascoltare il dolore dei loro cuori è dura. Queste donne mi dicono “Io non voglio più vivere”. Così mi trovo accanto a loro, in silenzio. A volte ci teniamo solo la mano, a volte ce la teniamo piangendo. A volte cerco le parole per sostenerle in questo lutto. E dico che quel giovane ha dato la sua vita per proteggere quella degli altri. Quindi continuare a vivere è nostro compito. Non è la morte ad essere così dolorosa in sé. È che a morire sono persone che potrebbero vivere, non è una morte naturale quella con cui tutti i giorni facciamo i conti. E quindi questa morte porta più dolore. E in questo dolore dobbiamo essere presenti.
(AP Photo/Evgeniy Maloletka) Associated Press/LaPresse
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link