L’ironia del crepuscolo: Ennio Flaiano e il suo Diario notturno

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Ci sono autori che sembrano scrivere da un luogo a parte, da una postazione privilegiata ed, insieme, marginale, da un angolo appartato del mondo dove lo sguardo si affina nella solitudine e si impregna della malinconia di chi sa che nulla potrà mai essere del tutto salvato. Ennio Flaiano è, senza dubbio, uno di questi autori, uno di quegli intellettuali che hanno fatto dell’osservazione un’arte, e della disillusione una forma suprema di intelligenza. Il suo Diario notturno, pubblicato nel 1956, non è un semplice zibaldone di pensieri, né un diario in senso stretto, bensì un’opera composita, una sorta di specchio frammentario del suo tempo e, al contempo, della sua anima più segreta. È un libro che si costruisce attraverso digressioni, aforismi, fulminanti annotazioni sul costume, cronache di un’Italia che si avvia, con passo incerto, verso la modernità, senza mai perdere la sua vocazione al grottesco.

La notte a cui allude il titolo non è soltanto una dimensione temporale, ma una condizione esistenziale: è il buio in cui si muove un osservatore che non può concedersi illusioni, un flâneur senza compiacimenti, un moralista senza moralismi. Flaiano scrive da una soglia, da un punto di osservazione che gli consente di vedere con nitidezza la commedia umana che si dispiega attorno a lui, e lo fa con una leggerezza che non è superficialità, bensì la più raffinata delle armi contro la volgarità del potere e delle convenzioni.

La struttura di Diario notturno sfida ogni classificazione. Non è un’opera organica, non ha un filo narrativo unitario, eppure possiede un’armonia sotterranea, una logica interna che si dipana attraverso le sue pagine come un raffinato spartito di variazioni sul tema dell’assurdità del reale. La scrittura di Flaiano si muove con la grazia di chi sa che la letteratura più autentica non è mai quella che pretende di offrire risposte, ma quella che affina lo sguardo e moltiplica le domande.

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Centrale è il suo rapporto con l’Italia, un paese che egli racconta senza indulgenze, con lo sguardo impietoso di chi ama proprio perché non può più nutrire illusioni:

L’Italia è un paese di contemporanei senza antenati né posteri, cioè senza memoria di sé.

Basterebbe questa frase, pronunciata con la perfetta economia di parole che è propria dei grandi aforisti, per cogliere la profonda amarezza del suo sguardo. Flaiano è un cronista del disincanto, ma il suo è un disincanto che non si risolve mai nel cinismo fine a se stesso; è, piuttosto, una forma estrema di lucidità, una difesa contro il conformismo delle idee facili.

Flaiano si muove su un registro che può apparire ambiguo a chi non ne colga la profondità: l’ironia, per lui, non è mai un semplice esercizio di stile, né un atteggiamento di superiorità verso il mondo. È, piuttosto, una postura morale, un modo per resistere alla banalità e alla retorica. Non c’è compiacimento nelle sue battute, non c’è il gusto di esibire il proprio spirito, ma solo l’insofferenza per ogni forma di mistificazione:

In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.

Dietro queste sentenze lapidarie si cela un’analisi impietosa della mentalità nazionale, della sua tendenza al trasformismo, della sua incapacità di prendere sul serio la realtà se non quando è troppo tardi. Flaiano non è un moralista, eppure sa che il linguaggio è il luogo in cui si gioca la qualità della nostra consapevolezza. La sua prosa, asciutta e affilata, è il perfetto antidoto contro la verbosità vacua, contro la retorica del potere che, dietro le parole, cela sempre un vuoto di senso.

Un aspetto affascinante di Diario notturno è la sua capacità di muoversi con leggerezza tra mondi apparentemente lontani: la letteratura, il cinema, la cronaca, il costume. Flaiano, del resto, è stato un protagonista silenzioso della grande stagione del cinema italiano, collaboratore di Fellini e sceneggiatore di capolavori che hanno segnato un’epoca. Eppure, anche in quel mondo di illusioni, egli ha sempre mantenuto una posizione marginale, quasi da spettatore:

Il cinema è un’arte con la quale non ho mai avuto un vero rapporto d’amore, ma solo di necessità. Per guadagnarmi da vivere.

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Anche qui, l’ironia cela una verità più profonda: Flaiano è sempre stato un autore fuori posto, un intellettuale che non si è mai lasciato sedurre dalle lusinghe del successo, consapevole che ogni forma di appartenenza è, in fondo, un compromesso. È in questo che la sua scrittura ricorda quella di Montaigne: un pensiero errante, libero, mai prigioniero di ideologie o appartenenze.

A oltre sessant’anni dalla sua pubblicazione, Diario notturno conserva intatta la sua attualità. Leggerlo oggi significa ritrovare uno sguardo che non ha perso nulla della sua capacità di illuminare il presente. La sua critica al conformismo, alla mediocrità elevata a sistema, alla volgarità di un mondo che ha fatto della superficialità una virtù, è più che mai necessaria in un’epoca dominata dalla rapidità del consumo e dalla sterilità dell’opinione diffusa.

Ciò che rende quest’opera un classico è la sua capacità di sottrarsi ad ogni retorica, persino a quella della denuncia. Flaiano non cerca indignazione né adesione, non offre risposte né soluzioni: il suo sguardo resta in bilico tra la malinconia e il disincanto, la leggerezza e la gravità. Leggere Diario notturno significa accettare di sostare in questa sospensione, nel chiaroscuro di una realtà che non si lascia mai afferrare del tutto.

Forse è proprio in questo che risiede la sua lezione più profonda: imparare a guardare il mondo senza illusioni, con grazia; con distacco, senza rinunciare alla meraviglia sottile di chi sa che, nonostante tutto, l’ironia è l’ultima, fragile forma di resistenza alla volgarità del vivere.



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