L’analisi dell’analfabetismo di ritorno in Italia rivela un quadro allarmante che mette in discussione l’efficacia dei molteplici tentativi di scolarizzazione di massa. Nonostante l’accesso all’istruzione sia stato garantito a gran parte della popolazione, i dati rivelano un fenomeno preoccupante: in Italia si legge sempre meno, e al Sud il divario con il resto del Paese è ancora più marcato. Le statistiche, ad esempio, mostrano che la quota di libri venduti nelle regioni meridionali non supera il 20% del totale nazionale, a fronte di una popolazione meridionale che rappresenta circa il 34% del totale. Questo disallineamento tra la distribuzione di lettori e quella della popolazione è emblematico di un problema che va ben oltre la sfera economica, mostrando che il libero accesso alla cultura, purtroppo, non è sufficiente ad alimentare una vera e propria crescita culturale.
Secondo l’Istat, nel Centro-Nord si registra una percentuale del 45% di lettori, mentre al Sud solo il 28%. Tale divario culturale risulta, in alcuni casi, perfino superiore a quello economico, facendo sorgere interrogativi su come queste differenze si siano venute a creare e quali siano le cause alla base di questa persistente separazione. Sebbene l’accesso all’istruzione sia ormai una realtà consolidata e l’abbandono scolastico sia in calo, non si può fare a meno di rilevare che l’Italia, nonostante gli sforzi, dedica risorse insufficienti all’istruzione, specialmente per i gradi più alti. Il sistema scolastico italiano, seppur inclusivo, non sembra essere in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze di formazione di una popolazione che fatica a sviluppare strumenti culturali adeguati, come la comprensione di testi complessi e la scrittura.
In effetti, la capacità di comprendere e produrre testi complessi è carente, e questo fenomeno si è accentuato con il tempo, come dimostrato da indagini internazionali, tra cui l’indagine PIAAC (sulle competenze degli adulti), che segnala una costante difficoltà degli italiani, e in particolare dei meridionali, nell’acquisire queste competenze a scuola. Nonostante numerose iniziative finanziate con fondi europei, come quelle legate al PNRR, non si è registrato un miglioramento sostanziale del livello culturale nelle regioni meridionali. Anzi, il risultato sembra essere stato l’opposto: la sottrazione di tempo prezioso ai programmi scolastici ordinari, ormai sistematicamente ignorati in molte scuole del Sud, non ha fatto altro che aggravare il problema. Non basta, quindi, intervenire con misure occasionali e particolari, ma è necessario un ritorno a un’educazione che sappia puntare su discipline tradizionali, capaci di stimolare il pensiero critico e la consapevolezza linguistica.
In questo contesto, l’annuncio del Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara di un ritorno alle discipline tradizionali, sebbene tardivo, potrebbe essere visto come un tentativo di porre rimedio a una situazione che rischia di compromettere le competenze di intere generazioni. Tuttavia, il problema non è solo nel programma scolastico, ma riguarda questioni strutturali molto più profonde e radicate nel sistema educativo italiano. Infatti, i risultati in termini di remunerazione e inserimento lavorativo per i laureati italiani sono relativamente bassi rispetto ad altri Paesi, e ciò si traduce in un ridotto incentivo per gli studenti a impegnarsi per acquisire competenze adeguate. Un altro fattore rilevante è la convinzione diffusa che il successo professionale dipenda più dalle connessioni familiari e sociali che dalle effettive capacità individuali, una percezione che in Italia è particolarmente forte e che mina ulteriormente la motivazione a impegnarsi nel percorso educativo.
La sfida, quindi, non risiede semplicemente nella definizione di programmi scolastici, ma nella ricostruzione degli incentivi e delle motivazioni che spingano le nuove generazioni a sviluppare competenze reali. La qualità della didattica deve essere valutata in modo serio, e l’insegnamento delle materie fondamentali deve essere una priorità assoluta. Inoltre, è necessario un maggiore controllo sull’applicazione dei programmi, che deve essere uniforme in tutto il Paese. L’assenza di vigilanza ha portato a un sistema scolastico spesso incoerente e disorganizzato, con gravi ripercussioni sugli studenti.
Per garantire un’educazione di qualità, è fondamentale che le prove d’esame siano standardizzate e che i test come quelli INVALSI siano presi seriamente ai fini della valutazione finale. Se gli studenti sapranno che l’istruzione è il primo passo verso un futuro equo e prospero, saranno più motivati a sviluppare capacità e competenze che permettano loro di affrontare sfide più complesse e di apprezzare, infine, anche la lettura. In questo modo, l’Italia potrà finalmente superare l’analfabetismo di ritorno e costruire una società più equa e culturalmente avanzata, dove la cultura, e in particolare la lettura, possano tornare ad essere un valore condiviso da tutte le generazioni.
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